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[Italia] “Rompere le righe”: Materiali di lotta contro la guerra e il mondo che la produce

Obiettivo del blog romperelerighe.noblogs.org: avvicinare geograficamente e mentalmente il problema della guerra, cuore di questo mondo e della società. Dare al militarismo un nome, un cognome ed un indirizzo come solo modo per spezzare la complicità con i signori dello sfruttamento e della morte e per rompere con la dinamica individuale della servitù volontaria.

“Rompere le righe”, allora. Il titolo non rinvia soltanto al vecchio slogan antimilitarista a favore della diserzione, ma anche alla necessità di sottrarsi all’inquadramento dei cervelli. Righe ben allineate, infine, sono quelle che ci impediscono di comprendere le conseguenze catastrofiche di una società sempre più in guerra con gli uomini e la natura. Rompere le righe significa allora disertare luoghi, parole e logiche dominanti e cercare testardamente un diverso modo di vivere. Rompere le righe significa anche ripetere quelle piccole banalità di base che il pensiero astratto ignora o nasconde ( ad esempio che sul cemento non cresce niente, oppure che non ha molto senso dichiararsi contro la guerra senza poi fare nulla contro le basi che la rendono possibile …). Come si vede, un percorso di resistenza e di liberazione non privo di incognite e di difficoltà. Un percorso tutto da inventare” (da “Rompere le righe”, n. 7, maggio 2009).

Il foglio e l’omonimo blog erano nati come strumenti della lotta contro la costruzione di una base militare a Mattarello (Trento Sud). Il progetto della base è stato alla fine ritirato da Governo e Provincia, ufficialmente in ragione dei tagli al bilancio della Difesa. Vergognosamente, vari politici che mai avevano speso una parola contro la base di Mattarello si sono rallegrati degli ettari di terreno non invasi dal cemento in seguito al cambio di programma governativo. A noi piace pensare che l’opposizione al progetto – in cui siamo stati attivi dall’inizio alla fine – abbia avuto il suo peso nella decisione delle autorità. I lavori veri e propri non erano ancora cominciati, ma su circa un ettaro dei 28 espropriati (e profumatamente pagati ai contadini della zona) era stata fatta una spianata. I lavori preliminari erano stati bloccati più volte e qualche mezzo delle ditte coinvolte incendiato.

La natura ha poi fatto il suo corso. Ed ora la spianata sembra quasi un boschetto, con le piante che hanno bucato il cemento. Esempio di come le costruzioni dell’uomo siano cose effimere rispetto ai cicli della Terra.

Di quei cicli ci sentiamo figli e figlie, pronti a bucare ogni cemento, a spezzare ogni gabbia che trattiene e rinchiude. Con l’abbandono del progetto di Mattarello certo non è certo scomparso il militarismo in Trentino. Non si ragioni, quindi, di sotterrare l’ascia.

A che punto siamo?

La guerra è dappertutto. Con questo blog vogliamo raccogliere materiali ed elaborare riflessioni contro la guerra ed il mondo che la produce. Infatti non ci viviamo la tensione antimilitarista in “senso stretto” come esclusivamente lotta contro la guerra (intesa nel suo significato più tradizionale), ma siamo coscienti che alla guerra “esterna” per l’accaparramento e per la spartizione delle risorse corrisponde (economicamente e socialmente) una guerra “interna” contro gli sfruttati per renderci sempre più precari, controllati e irreggimentati. Operazioni neocoloniali, guerre possibili o indirette fra Stati (l’esempio dell’Ucraina è di per se emblematico), propaganda nazionalista, aggressioni fasciste, razzismo democratico, rastrellamenti nei quartieri e guerra fra poveri sono le meraviglie prodotte dal loro mondo che ci vuole portare – in righe ben allineate – verso l’abisso. L’esempio israeliano è tristemente significativo: dove l’involucro totalitario della democrazia racchiude l’apartheid, il razzismo, la guerra “esterna” e muri e confini “interni”. Il modello gerarchico della caserma è ormai ovunque e, per esistere e riprodursi, ha la necessità di sviluppare e di utilizzare sempre più tecnologie finalizzate alla guerra ed al controllo sociale. Senza queste protesi sviluppate nei centri di ricerca, nelle Università e nei laboratori del dominio, la conservazione del privilegio e le guerre non sarebbero possibili. Questo è uno dei punti per noi fondamentali dai quali abbiamo intenzione di ripartire. La guerra, come già avevamo sostenuto da queste pagine, è sempre di più il cuore di un mondo senza cuore. Alla luce di quello che avviene sempre di più nella nostra quotidianità e attorno a noi sentiamo l’accecante urgenza di una ripresa dell’antimilitarismo, che per noi non può essere che di azione diretta.

In quest’ultimo anno, con l’esempio lampante della situazione Ucraina, stiamo assistendo ad un “ritorno del rimosso” che politici e politicanti, sociologi e buffoni vari al servizio del potere avevano cercato di nascondere o di far dimenticare. E cioè che la guerra è possibile anche nelle forme che avevamo disimparato a conoscere, e cioè come guerra fra Stati. Questa tragica possibilità si fonde sempre di più con un’altra forma di conflitto: quello contro-insurrezionale o di “polizia internazionale” (detto anche “conflitto asimmetrico o di quarta generazione”). Il nostro obbiettivo è semplice ma ambizioso, e cioè di provare a dare un contributo per una possibile prospettiva pratica al rifiuto della guerra, perché esca dalla semplice ed impotente protesta di testimonianza. Una “testimonianza” che si rende funzionale all’interno dell’opinionismo democratico. In sostanza, non si è mai fatto tanto parlare di “pace” come in questo momento dove esistono un’infinità di conflitti. Si tratta di abbandonare la mera lamentazione di fronte all’“idea” guerra per provare a passare all’attacco della “cosa” guerra nelle sue concrete e reali manifestazioni territoriali. La necessità è quella di provare ad inceppare concretamente la macchina bellica in tutte le sue varie ramificazioni.

Fabbricanti di morte a pochi passi da noi. La “Silicon valley d’Italia”: così viene definito il Trentino dai molti sacerdoti ed entusiastici fanatici del progresso e della ricerca. La provincia in cui viviamo, infatti, sia per la sua caratterizzazione sociale (un territorio tutto sommato pacificato e privo di tensioni significative), sia per il particolare status istituzionale di cui gode la “provincia autonoma”, è una candidata ideale per diventare la terra dei laboratori del dominio. In questo territorio è possibile disegnare un vero e proprio mosaico degli orrori con dipartimenti universitari saldamente legati a Finmeccanica, centri e ditte di ricerca che sviluppano sensori e nanotecnologie per alcuni dei prodotti bellici più terribili dell’ultimo decennio (ad esempio come per gli aerei senza pilota “Predator”, già impiegati in Iraq e in Afghanistan), ditte e ricerche sul controllo sociale attraverso l’informatica (come nel caso del “web semantico”), poli di ricerca e strutture trentino-israeliane (come “Create-net” a Trento) ecc. I rapporti di collaborazione con l’industria e l’accademia israeliane (responsabili di fornire strumenti e tecnologie per lo sterminio della popolazione palestinese) sono fra i più significativi in Europa. Non è un caso che il nuovo responsabile di FBK (Fondazione Bruno Kessler, un vero e proprio centro di potere in Trentino) sia Profumo, l’ex ministro della ricerca del governo Monti. Questo per far capire ancora una volta di più quanto sia strategico e fondamentale il ruolo che assume sempre più questa provincia come laboratorio di sviluppo di nuove tecnologie per i dominatori.

L’antimilitarismo come rivolta in primo luogo etica ed individuale. Nel militarismo e nel concetto di guerra si evidenzia al massimo il principio d’autorità e della gerarchia. Secondo noi l’antimilitarismo ha un fondamento che in primis deve essere di natura etica e di insurrezione individuale, scardinando all’interno di noi stessi la meccanica che crea la “servitù volontaria”, disertando la dinamica della “guerra fra poveri” e della “legge del più forte”. Questo è il primo passo per negare la propria vita alla guerra dei padroni per provare a sabotare o ad inceppare il meccanismo della guerra, in ogni forma che si presenti: dal nostro vissuto più quotidiano ai dispositivi tecnologici che rendono possibile l’esistenza di dominatori, sfruttati ed eserciti. Non ci stancheremo di ripetere ancora, come già scrivevamo, che la percezione delle proprie possibilità non è un fatto statico. Nella pratica della rottura (con la routine, le compatibilità politiche, i ruoli della società, il mito del quantitativo) si innalza la temperatura morale e si affina il piacere di vivere. In un’epoca di opinioni all’ingrosso e di passioni tristi, solo battendosi è possibile affinare le idee e allietare gli affetti. A quella “catastrofe che è ogni giorno in cui non accade “nulla” opponiamo l’occasione insurrezionale degli individui, singoli o associati fra loro. La società è un’immensa bomba ad orologeria e gli individui si dividono in coloro che non sentono e in coloro che sentono il ticchettio. Ancora una volta ci rivolgiamo a coloro che lo sentono, e lo maledicono, e non si rassegnano.

Heraklion, Creta: Testo del collettivo Sine Dominis

Sui striscioni si legge: “Né alle sostanze chimiche delle loro guerre, né ai petroli della loro pace” (Heraklion, 22/5/2014)

Né alle sostanze chimiche delle loro guerre, né ai petroli della loro “pace”.

Nei giochi geostrategici brutali di dominio e di potere messi in esecuzione dalle superpotenze mondiali, a volte con il pugno militare e, talvolta, attraverso il potere economico, le uniche vittime e permanenti sono le società e l’ambiente del pianeta che ci ospita.

Dalla metà di Febbraio con pioniere il governo degli Stati Uniti e col pieno consenso e l’assistenza del governo Russo, è stata lanciata con la massima riservatezza un’operazione di trasporto e di distruzione dell’arsenale chimico della Siria nella zona marittima tra la Creta, Malta e la Sicilia. L’intero progetto è stato orchestrato ed è supervisionato dalla NATO, mentre l’UE (e ovviamente anche la Grecia in bancarotta) contribuisce nel finanziamento dell’operazione, un fatto che non è stato reso noto ampiamente, dal momento che è stata resa pubblica la distruzione delle sudette sostanze chimiche.

Lo stato greco come un’altra macchina imperialista partecipa alla banda della NATO, compie esercitazioni congiunte con altri Stati terroristi, invade, oppure fornisce il suo territorio attraverso la basi della NATO, nei paesi africani e altrove (Iraq, Afghanistan, Libia, Kosovo, ecc) e tutto cio’ per gli interessi dei potenti stati imperialisti e dell’impero globale del denaro. La posizione geopolitica della Grecia porta il paese alla ribalta degli sviluppi geostrategici ed ogni governo greco di turno non perde l’occasione per sfruttarla (espansione economica nei Balcani, contrabbando di carburante, aziende di costruzioni nei paesi saccheggiati). Il loro alibi, per legittimarsi agli occhi della gente, è la retorica nazionalista permanente per i nemici esterni della nazione, che “sono in guardia” e “i obblighi del paese verso i suoi alleati.” In questo modo, anche in un momento di crisi del sistema capitalista vediamo il bilancio dello stato per gli armamenti di espandersi in modo inversamente analogo col tentativo di saccheggio dei salari, delle pensioni, e delle strutture pubbliche (sanità, istruzione, ecc.)

Tonnellate di armi chimiche stanno già facendo il giro del Mediterraneo (un mare con piccolo tasso di rinnovamento delle acque) con una nave marcia (di 36 anni, senza cassoni di fondazione, monoscafo) effettuando un metodo di distruzione che non è mai stato testato in mare e su larga scala. I dominanti ci dicono che il metodo sperimentale della idrolisi dei gas chimici nervini è completamente sicuro, senza pero’ portare alcuna prova per questo, mentre non è un caso che paesi come Francia, Germania, Norvegia, Belgio e Albania, i quali possiedono impianti per la gestione di tali rifiuti pericolosi, hanno già rifiutato di distruggere le armi chimiche all’interno dei loro confini, citando “la mancanza di infrastrutture”. Per quanto riguarda i mercanti di morte, le superpotenze che producono e vendono nei paesi-canaglia le armi chimiche, nemmeno una parola per prenderle e distruggerle nelle strutture in cui sono state prodotte.

Le convenzioni internazionali vengono annulate dai stessi governi, che ipocritamente firmano il divieto di produzione di armi chimiche, mentre allo stesso tempo gli forniscono nelle “zone di guerra”. Al di là dei giochi geopolitici del massacro umano nella Siria (per il quale esiste l’indifferenza completa) e il rifiuto di asilo ai rifugiati, le armi chimiche anche quando vengono distrutte, rappresentano una minaccia a causa dell’incoscienza dei funzionari militari e civili in carica. Il processo di distruzione delle sostanze chimiche nel cuore del Mediterraneo rappresenta un grave rischio di rilascio di tonnellate di rifiuti tossici, costituendo una grave minaccia per l’ambiente e la salute pubblica.

Il metodo e le attrezzature che sarà utilizzato è la Field Deployable Hydrolysis System, che è stata sviluppata solo nell’ultimo anno, e utilizza una varietà di sostanze chimiche per neutralizzare le armi. Produce grandi quantità di rifiuti liquidi tossici, noti come uscite. Il metodo e le apparecchiature installate nella nave da guerra americana, MV Cape Ray, sono state testate solo una volta in mare, e per neutralizzare una piccola quantità di armi chimiche. Questo supera di gran lunga la dimensione dell’arsenale siriano da distruggere, che è più di 700 tonnellate di armi. Poi, la MV Cape Ray è stata originariamente progettata per il trasporto di cibo e di attrezzature, 36 anni fa, senza cassoni di fondazione, ed è costruita come monoscafo, che la rende inadatta per una tale operazione di alto rischio a causa della grande probabilità di un incidente. Le conseguenze di un’eventuale perdita (accidentale o intenzionale) di rifiuti solidi o liquidi generata durante il processo è imprevedibile, soprattutto in considerazione del rischio di dispersione nel bacino del Mediterraneo, attraverso le sue potenti correnti marine.

La scelta del sito non è stata casuale. Il fatto che molti paesi del Mediterraneo stanno affrontando attualmente una grave crisi economica e di instabilità politica, piega la reazione della società e la loro capacità di intervento. L’OPCW, organizzazione responsabile del processo, sfrutta queste condizioni e pone il rischio di trasformare il Mediterraneo in un’area di smaltimento dei rifiuti pericolosi.

Le questioni che sorgono sono dunque molto serie: Nessuno conosce (compreso l’esercito americano) se le sostanze chimiche contengono degli aggiuntivi, e quindi non possano essere idrolizzate. Non conosciamo se il processo di idrolisi è funzionale in mare con le macchine che si muovano in un’altro livello di altezza e quindi di pressione dalle sostanze chimiche. Anche se il lavoro di idrolisi in mare funzionerà, non vi è alcun studio sull’impatto ambientale in caso di un incidente (che impatto avrà un incidente). È interessante che la rivista (conservatrice) americana, American Thinker, chiede in un articolo al governo degli Stati Uniti perché si impegna a fare qualcosa nel Mediterraneo che nel suo paese sarebbe illegale, e arriva fino a chiedersi se questi rifiuti tossici saranno affidati a qualche azienda “sporca” che li farà sparire senza troppe domande.

Tutto questo a livello internazionale. A livello locale siamo spettatori di un recital di ipocrisia da parte dei potenti (sindaci, prefetti), dei partiti e degli uomini d’affari i quali (per coincidenza poco prima dell’inizio della stagione turistica e in vista delle elezioni) si sono “sensibilizzati” per l’ambiente. Tutti questi anni pero’ mostrano la loro indifferenza di fronte alla devastazione causata nell’isola dall’industria del turismo, dagli impianti industriali di energia alternativa e non solo. Mentre è stato recentemente annunciato che questa estate saranno lanciati i concorsi per le ricerche di petrolio nel Mar Ionio e nella zona di mare a sud di Creta, e se i risultati saranno promettenti e redditizi per le aziende multinazionali che gli gestiranno, saranno costruiti impianti petroliferi con la conseguente minaccia per tutta l’area marittima e non solo da un grande ed estremamente difficile da invertire inquinamento, sia da un possibile incidente, come ad esempio quello nel Golfo del Messico, e generalmente dalle navi che trasporteranno il petrolio greggio.

Oltretutto, caratteristica dell’ipocrisia dei governanti locali è che nessuno di loro non parli mai della base militare della NATO a Souda, dove si attraccano navi da guerra e sottomarini a propulsione nucleare, ma anche fregate con armi chimiche. Tutti questi piccoli potenti locali che ora presumibilmente si preoccupano per le armi chimiche non menzionano mai la morte che disperdono le navi e gli aerei della Nato che operano da Souda. Non parlano nemmeno per le esercitazioni della NATO nel Mediterraneo che distruggendo le specie di vita sottomarine e fanno uscire sulle coste delle specie marine morti (come recentemente sulla costa di Ierapetra, dove delle balene da becco d’oca –Ziphius cavirostris– sono uscite a terra morte per la ragione che sono state “impazzite” dai sonar delle navi da guerra) e rifiuti tossici. Per non parlare delle centinaia di migliaia di persone costrette a diventare profughi a causa delle guerre predatorie dei dominanti. Molti di loro, dopo essere stati salvati (temporaneamente) dalle bombe e dai proiettili di guerra, vengono uccisi dalle onde del Mar Egeo all’interno delle navi marce degli mercanti di uomini moderni. E per quale motivo interessarsi? Dal momento che i boss locali a Creta trattano i rifugiati come manodopera a basso costo e nello stesso tempo si arricchiscono dalle uscite dei soldati, ma anche dalle attività commerciali della base militare. Sono così le stesse persone che da un lato versano lacrime di coccodrillo per l’arsenale chimico della Siria e dall’altro lato si grattano le mani come i pezzenti del mercato nero per l’eminente estrazione di petrolio e di gas naturale, immaginando se stessi come qualcosa tra i sceicchi del Golfo Persico e i boss del petrolio del Texas.

La guerra è la macchina del capitalismo e della sovranità degli stati. Intorno ad essa si raccolgono e si smistano i più grossi appalti, si generano enormi profitti e “respira” il capitalismo e lo sfruttamento. I governi, come personale civile dei guerrafondai, alimentano l’industria bellica a causa degli enormi profitti, ma soprattutto perché i costi (sociali, ambientali) non li pagano quelli che raccolgono i profitti ma i popoli del mondo. I principali reati ambientali mostrano il futuro di un mondo pieno di “zone grigie”. Zone in cui sarà impossibile l’esistenza della vita. È nostro dovere di fermare la macchina capitalista di distruzione e di sostenere la popolazione dei rifugiati richiedenti asilo, di rispondere a livello della nostra classe, in modo combattente ed umano contro la guerra dei padroni.

La lotta contro la loro guerra, non può che essere solo contro il dominio globale dei pochi che la provoca.

Nessuna guerra tra le “nazioni” – nessuna pace tra le classi!
Per un mondo senza eserciti, stati e confini.

Sine Dominis, collettivo anarchico dall’Occupazione Evangelismos
sinedominis@espiv.net

Il testo è stato distribuito alla città di Heraklion il 22 maggio durante il raduno per la giornata nazionale di azione contro la distruzione di sostanze chimiche nella zona del mare.

fonte : candia alternativa

Germania: Attacco con la vernice al Centro di Carriera dell’Esercito Federale (Bundeswehr) a Stoccarda

Il 10 luglio 2013 la facciata a Stoccarda del Centro di Carriera dell’Esercito Federale (EF) è stata marcata con la vernice rossa. Vogliamo chiarire e rendere visibile verso l’esterno: in questo luogo inizia la guerra, qui si reclutano dex giovani per l’esercito tedesco e le guerre della BRD.

Nel quadro della ristrutturazione delle Forze Armate tedesche, tra cui anche la sospensione della leva obbligatoria, si diede a quest’ufficio il nuovo nome armonioso di Karrierecenter. I cambi di nome che affibbiano alle riforme un “taglio attuale” e dovrebbe sottolineare il cambio del EF non possono ingannare sul fatto che in questo luogo inizia la guerra. In questo luogo si arruolano dex giovani per l’esercito della BRD. Il capo attuale del Karrierecenter di Stoccarda è Sylvia Lahnz, ex dirigente del Sostituto Ufficio Circondariale della Difesa di Karlsruhe.

Da più di 20 anni l’EF è di nuovo ingaggiato a livello globale per gli interessi del capitale tedesco. Le più recenti misure di ristrutturazione dell’EF rendono possibile di immischiarsi con ancora migliore efficienza e contemporaneamente in vari scenari di guerra. Attualmente sotto forma di alleanze – con altri paesi imperialisti. Alcuni interessi fondamentali di queste alleanze di convenienza sono l’apertura di mercati, la messa in sicurezza delle fonti di materie prime e delle rotte commerciali e di realizzare un’influenza economica e politica in scala nelle regioni centrali dal punto di vista geostrategico. Così si rendono economicamente e politicamente dipendenti dei paesi spesso meno potenti ed influenti, costringendoli in trattati e contratti di cooperazione. Le regole del gioco e le condizioni sono regolarmente dettate dai paesi capitalisti ricchi con formule a loro vantaggio. Come strumento efficace per acconsentire a tali cooperazioni per es. si minacciano delle sanzioni economiche o la diminuzione dei crediti.

Se questo non funziona o se il governo di turno non si rivela abbastanza attendibile, di buon grado e senza tentennare si tolgono i militari dal cilindro magico degli strumenti di pressione politica. A volontà si continua a destabilizzare ulteriormente la regione – si può fare anche rifornendo l’opposizione con delle armi, con l’azione dei servizi secreti o anche con il boicottaggio commerciale – oppure sono direttamente occupati dalle potenze imperialiste. Anche l’istaurazione di zone di divieto di volo normalmente accompagnate da un tappeto di bombe sui paesi colpiti, sono dei noti strumenti strategici per la difesa degli interessi capitalisti.

La varietà delle guerre imperialiste sono multiformi e qui certo descritte molto in fretta, tuttavia è certo che non n’approfittano né le persone delle regioni di guerra, né la gran parte delle popolazioni dei paesi guerreggianti. Nulla cambia la tanto altisonante quanto vuota retorica dei media borghesi sulla missione umanitaria.

Prima che i soldati, dopo intrappolati da contratti capestro, promesse di alti salari e prospettive per una carriera apparentemente certa, sono mandati in guerra si addestrano nel Centro di Addestramento al Combattimento (Gefechtsübungszentrum/GÜZ) nella Altmark. E’ la piazza d’addestramento truppe più moderna d’Europa ed è gestita dalla ditta Rhein-Metall. L’EF ed altri eserciti europei vi affittano spazi per le loro esercitazioni di guerra.

Dal 21 al 29 luglio 2013 in loco si tiene per la seconda volta il campeggio antimilitarista WarStartsHere. L’anno passato si è riuscitx ad interrompere le esercitazioni. Alcune centinaia di persone invasero il perimetro per richiamare l’attenzione che dalla Germania parte la guerra.

Venite al campeggio antimilitarista contro GÜZ!
Abbasso la politica di guerra tedesca!

Viva la Solidarietà Internazionale!

fonte / trad. Marco Camenisch [Lenzburg, Svizzera, fine luglio 2013]

II trad.: Giusto di ieri, sabato 27 luglio, la notizia di un sabotaggio incendiario antimilitarista a 16 veicoli militari dell’EF nel perimetro della caserma di Havelberg, vicino a suddetto campeggio.

Le donne come bottino di guerra

Dall’opuscolo antimilitarista “Guerra contro la guerra” dal collettivo degli obiettori totali al servizio militare Xipolito Tagma (“Battaglione Scalzo” ad Ioannina, Grecia)

Stupri in tempo di guerra possono essere commessi e sono stati effettivamente perpetrati da eserciti organizzati, gruppi paramilitari e fascisti, e vari fondamentalisti. Gli abusi sessuali e i stupri contro le ragazze e le donne si sono evoluti in un arma sistematica di guerra e repressione. In questi fenomeni di violenza sessuale, l’oppressione di genere è associata con il militarismo e la struttura altamente patriarcale del corpo militare. Si tratta di una premessa comune, o per di più, siccome le guerre hanno un genere, il genere maschile, così lo abbia anche la macchina omicida dello Stato, l’esercito. Naturalmente, questo non significa che le donne sono spettatori a tutta questa violenza, anzi, nella maggior parte dei casi si tratta di vittime di stupro d’assalto*. I stupri delle donne in periodo di guerra devono essere visti alla luce dell’organizzazione patriarcale della fantasie nazionali che si mettano in funzione. Più palesemente patriarcali sono le narrazioni nazionali, più utile è l’arma dello stupro per gli attaccanti, e più utile per lo sterminio dei loro obiettivi.

Lo stupro come strumento di guerra può avere origini diverse. In molti casi, lo stupro può essere un risultato di ordini diretti di alti ufficiali dell’esercito, o semplicemente un incentivo degli stessi soldati, o entrambi combinati. Quello che è certo è che questi stupri sono calcolati come una componente della vittoria o della sconfitta militare, ma non possono essere esauriti in queste connotazioni. In ogni caso, ciò che dà un significato-importanza a questi stupri è un immaginario comune: quello della pulizia etnica o di altro tipo di “genocidio riproduttivo”, o in generale della distruzione dei legami all’interno della società avversaria; in altre parole, prima di tutto la distruzione dei significati immaginari di questa società che sono collegati con l’esistenza dei suoi sudditi. Durante la guerra in Bosnia-Erzegovina, per esempio, il processo della pulizia etnica divenne evidente quando le donne caddero vittime di stupri di massa e di torture, prigioniere e prostitute forzate da parte dei soldati e dei paramilitari Serbi. Questo esercizio è stato, naturalmente, un esplicito comando di ufficiali, ma non avrebbe alcun effetto senza la partecipazione attiva dei soldati, né avrebbe raggiunto tali proporzioni mostruose come abbia fatto.

L’umiliazione e lo stupro delle donne del “nemico” nella condizione di guerra acquista il significato dell’umiliazione e di stupro della nazione avversaria nel suo complesso. Ovviamente, i significati attribuiti alle donne e alla femminilità, in generale, dalla socializzazione nazionalista sono mescolati qui. Tali significati si applicano, da un lato, alla caratterizzazione della donna come grembo della nazione, responsabile alla perpetuazione della nazione (cioè la nascita di nazionalisti e, perché no, soldati disposti), e dall’altro, come colei che deve rimanere casta, onesta ed impegnata alla famiglia, che sia il cuore della nazione. Tutte queste caratteristiche sono considerate inviolabili ed evidenti da qualsiasi nazionalismo (e qualsiasi nazionalista). Pertanto, i soldati stuprano le donne e distruggono le famiglie degli altri, al fine di “proteggere” le loro donne e le loro famiglie. La donna detiene un ruolo importante come metafora, ad esempio la “madre patria” o il come già citato “utero della patria-nazione”. Le donne sono, quindi, una cosa per la quale un soldato è incaricato per andare in guerra (ad esempio “si va in battaglia per il bene delle nostre donne e dei bambini”), un oggetto che esiste da proteggere (così come il resto della proprietà dell’uomo). D’altra parte, le donne sono quelle che ricevono i più feroci attacchi da parte delle truppe, tuttavia sono la maggior parte della popolazione civile, e la maggior parte di loro non sono coinvolte nelle decisioni e la pianificazione delle guerre.

Lo stupro in guerra non è l’eccezione ma la regola generale che si basa su l’odio nazionalista e la supremazia maschile, gli elementi di base che si trovano nell’ideologia dei militari e della guerra. Così, la nostra posizione antimilitarista si basa sull’obiezione universale di questi elementi, sempre contro il “nostro” Stato e il nazionalismo, ma anche contro i privilegi e gli stereotipi maschili.

* Secondo le cifre ufficiali, stupri per scopi militari sono stati commessi in tutte le guerre conosciute degli ultimi anni: nella ex Jugoslavia, Cambogia, Sri Lanka, Bangladesh, Liberia, Perù, Somalia, Mozambico, Sudan e Uganda. Gli esempi forniti in un progetto di relazione della cosiddetta “Commissione per i Diritti della Donna e le Pari Opportunità” del Parlamento Europeo sono quelli di Berlino nel 1945, quando le forze alleate entrarono nella città, e i stupri hanno raggiunto le 110-800.000; 20-50.000 stupri nella ex Jugoslavia durante la guerra civile nel 1990, e 250-500.000 stupri nella guerra in Ruanda nel 1994. Tutto questo riguarda solo stime e cifre “ufficiali”, che di fatto non riescono a valutare la dimensione del “male”, come in ogni disastro. Inutile dire che, i stupri sono sempre stati, e sono tuttora, una delle armi infinite e più potenti nelle mani dello Stato greco e del nazionalismo.