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Grecia: Lettera di Tasos Theofilou

Pochi giorni dopo la condanna datami dalla terza corte penale di Atene, composta da tre giudici, e la pena di 25 anni impostami per dei fatti che ho saputo solo dalla televisione, credo che emergano alcune domande di natura esistenziale e alcune conclusioni di natura politica.

Iniziando dalle domande, ci si chiede come una persona, come il presidente della corte –che assegnarlo ad un bar di periferia sarebbe già un rischio–, possa avere una tale autorità tra le mani. Come può essere che questa persona con la stessa malsana ingenuità con cui ha trattato il mio caso, possa processare a condannare centinaia, forse anche migliaia di altre persone e che questo non sia uno scandalo. Come può essere che questa persona evidentemente non brillante abbia nelle sue mani migliaia di vite. Come può essere che lo stato sia composto da persone così inadeguate e noi non riusciamo ancora a organizzare una rivoluzione contro di esso. Come può essere che l’accusa non ha neanche considerato scortese farsi alcune pennichelle durante il processo e neanche sentire il bisogno di guardare i fascicoli prima di fare l’arringa. Chiunque ha assistito al processo ha potuto concludere che l’arringa era probabilmente riguardante un altro caso. Come può essere che quelli che non considerano la giustizia penale come la vergogna dell’umanità ma come un “servizio”, la allargano trasformandola in un paio di mutande elasticizzate. Come può essere che un presidente e un pubblico ministero non si vergognino pubblicamente di dire che le richieste della difesa non possono essere accettata perché l’accusato non le ha dichiarate durante le udienze speciali di interrogatorio, screditando nel modo più assoluto la presunta parte principale della procedura che è il processo.

Ma alcune conclusioni politiche sono importanti. Come la corte che riconosce la dimensione politica dell’accusa indirettamente tramite la propria decisione, visto che se non l’avesse fatto avrebbe dovuto prosciogliermi, dato che le prove sono cadute nelle prime udienze. Ma ha scelto un campo politico – e non giuridico. Un campo utile per bilanciare le pressioni fatte dall’alto, tra la febbre “antiterrorista”, con pressioni applicate dal basso, pressioni che applichiamo in ogni piccola o grande battaglia che tutti facciamo. Pressioni che anche in un clima di devastazione autocratica sono vive grazie alla nostra incisività, militanza e solidarietà. Questa parte allora, con i molti solidali che hanno seguito il processo cosi come i giornalisti del movimento, ha evitato l’arbitrarietà del presidente e le oscenità dell’accusa (che ondeggiava tra una caricatura di destra e una pericolosa ignoranza del codice penale), restando limiti stretti dell’aula mettendo un freno al loro non senso. La corte ha agito come Ponzio Pilato temendo responsabilità, trasferendo alla corte d’appello ogni responsabilità e possibilità –anche quella di un controappello–, come è successo alla fine.

È anche importante che non sia una sentenza che abbia legittimato il DNA come prova, dato che l’oggetto sul quale sarebbe stato trovato il mio presunto DNA non esiste, ma è una sentenza che abbia legittimato l’immunità poliziesco-giudiziaria che raggiunse l’apice con il controappello proposto dal pubblico ministero Periklis Drakos.

Inoltre, non va tralasciato che nonostante la corte non abbia avuto bisogno di prove per condannarmi per la rapina a Paros, allo stesso tempo questa mancanza è stata abbastanza per prosciogliermi da tutte le accuse di partecipazione alla CCF. Quindi da un punto di vista politico, è importante che questo non è stato un altro passo verso l’acquisizione del “dogma Marini”.

Pertanto rimarrò in prigione per altri anni con la forza datami dalla consapevolezza che come ogni anarchico, non sono dentro “ingiustamente”. Ho commesso il crimine che li contiene tutti. Nella guerra di classe ho preso posizione insieme a chi subisce i torti. La prigione per un anarchico non è una punizione ma un altro campo di lotta. Non c’è spazio per lo scontento ma solo l’intensificazione continua che avanza. Fino alla distruzione dell’ultimo carcere, da Attica a Koridallos, da Pelican Bay a Domokos, da Guantanamo a Amygdaleza.

Tasos Theofilou
Prigione di Domokos
24/2/2014

fonti: asirmatista, actforfreedomnow

Grecia: Lettera del compagno incarcerato Tasos Theofilou in occasione del processo

L’11 novembre 2013 nel Tribunale di Appello situato in via Loukareos, in Atene, dopo un ritardo di cinque mesi, comincia il mio processo. Un processo in cui dovrò affrontare una marea di accuse per la mia presunta appartenenza alla CCF e per la mia presunta partecipazione nella rapina in una banca sull’isola di Paros.

Un processo con obiettivi politici e con abitrarietà legali evidenti, con prove tanto inesistenti quanto fabbricate, e con i fatti distorti dall’Unità Antiterrorista e dai procuratori speciali. Un caso che dimostra in cosa consiste la gestione poliziale-giuridica degli esclusi e di chi resiste orchestrata dai mass-media. Si tratta di un esperimento politico, che combina il deus ex machina* della repressione poliziale, l’aspetto scientifico del DNA e la repressione giudiziaria con l’articolo 187A, la cosiddetta legge antiterrorista.

Da un punto di vista giuridico è importante anche che da un lato non esista neanche un briciolo di prova credibile, ma dall’altro, come conseguenza di questa mancanza di prove o indizi, si sta violando tutto il concetto di presunzione di innocenza. L’accusato è chiamato a dimostrare la sua innocenza e non il tribunale a dimostrare la sua colpevolezza, come dovrebbe essere conforme alle garanzie presumibilmente fornite dalla Giustizia Penale influenzata dall’Illuminismo. Nel mio caso succede qualcosa di ancora peggio. Devo rifiutare le accuse senza avere di fronte alcuna prova tangibile, senza niente più che un ragionamento basato su menzogne e conclusioni arbitrarie riguardanti il mio “stile di vita”, e non alcune azioni specifiche.

Comunque, a parte la dimensione giudiziaia, c’è anche quella politica che ha una gran importanza, visto che sorgono molte domande. La più fondamentale di tutte è: perchè l’Unità Antiterrorista anziché la Sicurezza si prende in carico le indagini per una rapina? Semplicemente perchè c’è stato un morto che, naturalmente, era un cittadino. Un’opportunità di prima classe per immischiare l’ambiente anarchico in azioni che non erano dirette contro lo Stato o contro obiettivi capitalisti, ma contro i cittadini. Uno sforzo che è cominciato nel 2009 (?) con la curiosa esplosione di una bomba che ha causato la morte di un giovane immigrato afgano ed è continuata con i tragici avvenimenti della banca Marfin. I mass-media e l’Unità Antiterrorista cercano di convincere che gli anarchici sono un pericolo per chiunque, ma non per il Potere stesso.

Inoltre, è importante vedere cos’è l’Unità Antiterrorista e qual è il suo ruolo. Il suo ruolo, naturalmente, non consiste nel risolvere i casi di rapine e omicidi. Di questo si occupa la Sicurezza. Il ruolo dell’Unità Antiterrorista è liquidare l’ambiente anarchico e qualunque altra comunità di lotta, sempre con il pretesto di “disarticolare” le organizzazioni armate. Così, gli arresti “erronei” non sono il risultato della loro incapacità, ma anzi mostrano la loro capacità di creare un clima di paura e panico tra la gente che lotta. Nella democrazia moderna si suppone che non si perseguano penalmente le idee, ma le azioni. E quando non ci sono azioni criminali, le si inventano. Quindi il 14 agosto 2012 qualche “sconosciuto” chiama l’Unità Antiterrorista “informandoli” che gli autori della rapina a Paros hanno qualcosa a che vedere con il terrorismo e uno di loro ovviamente si chiama Tasos, ha le mie caratteristiche e un indirizzo specifico, cioè vive a casa dei miei genitori.

Il 18 agosto c’è una nuova chiamata telefonica, questa volta che dice loro che sono seduto sugli scalini della stazione della metro Keramikos. E lì mi arrestano. L’Unità Antiterrorista, naturalmente, non ha mai trovato quell’uomo “sconosciuto”.

In questo modo si riempie il posto vacante che l’Antiterrorismo aveva preparato per me già nel dicembre 2010. Il 4 dicembre 2010 arrestarono sei compagni anarchici in un’operazione antiterrorista “impressionante”. Un’operazione che finisce per essere un fiasco, poiché dei 6 arrestati accusati di essere membri dello stesso gruppo, alcuni non si conoscono nemmeno tra di loro, qualcosa che perfino i giudici confermano alcuni mesi dopo, assolvendo due persone da tutte le accuse. E per gli altri quattro, nonostante il trionfalismo dell’allora Ministro di Protezione del Cittadino, Christos Papoutsis, non emerge altro che la possessione di armi, per cui senza tutta una serie di trattamenti alchemici legali non sarebbe possibile aggiungere l’appartenenza alla CCF.

I tre accusati nel caso (Kostas Sakkas, Alexandros Mitrousias e Giorgos Karagiannidis) si prendono la responsabilità per il possesso di armi per l’azione anarchica, mentre l’anarchica Stella Antoniou è nelle mire delle autorità a causa della sua relazione con Kostas Sakkas, ma anche per l’aiuto che ha offerto a Alexandros Mitrousias.

L’Antiterrorismo ovviamente ha saputo che anch’io avevo una relazione di amicizia e da compagni con Kostas Sakkas, con cui dal 2002 sono stato compagno di classe nella facoltà di teologia a Thessaloniki. Più o meno in questo modo è comparsa, nelle loro osservazioni e inseguimenti, una persona, si presume, sconosciuta, che per puro caso ha le mie stesse caratteristiche ed è stata vista in tutta una serie di riunioni, reali o inventate. In realtà questa persona non era loro sconosciuta in assoluto perchè, al momento giusto, hanno lasciato un posto vacante negli atti di accusa. E, considerando le finalità mediatiche, il momento giusto si è prodotto nell’agosto 2012. Naturalmente è impressionante che questa persona “sconosciuta” che non hanno arrestato allora, nel dicembre 2010, perchè non la ritenevano importante, abbiano potuto riconoscerla 2 anni dopo e questo nonostante la sua insignificanza.

L’Unità Antiterrorismo ha deciso di coprire questo posto vacante che aveva riservato per me, e questo nella maniera più contundente, anche se poco credibile. Ha deciso di presentarmi come una persona coinvolta in una rapina che è terminata con un omicidio, basandosi sulle prove del DNA che sono state “trovate” in un cappello che presuntamente avrebbe perso uno dei rapinatori, mentre una serie di sospettose irregolarità, contraddizioni ed omissioni sia riguardo la raccolta di questo DNA sia riguardo al suo esame in laboratorio, indicano che si tratta di una prova inesistente e fabbricata.

Il mio caso non costituisce un’eccezione, è anzi un caso tipico nell’attuale stato di eccezione. E’ chiaro che con la crisi del sistema molte cose sono cambiate a livello economico, politico e sociale. Il Capitale cambia i termini del suo dominio e lo stato di eccezione diventa permanente. Il complesso poliziale-giudiziario ottiene un ruolo più importante, da istituzione complementare si converte in strumento distaccato del Potere.

La repressione penale amplia ed approfondisce il suo ruolo, mantenendosi nel ruolo di unico regolatore e garante della coesione sociale. Nel frattempo il Potere aspira ad ottenere qualunque tipo di consenso sociale attraverso la demonizzazione mediatica e la sanzione penale di chi resiste e degli esclusi, riunendo la parte più conservatrice della società intorno all’ideologia della legalità.

Il totalitarismo capitalista nella sua forma più moderna si articola nell’utilizzo di termini sempre più militari, nell’affrontare un ampio insieme sociale come suo nemico interno potenziale. L’ambiente anarchico e i settori sociali esclusi sono classificati nella stessa cornice, quella dei fattori di destabilizzazione, e trattati con “tolleranza zero”.

Da un lato la polizia con la sua presenza asfissiante ha occupato ogni centimetro dello spazio pubblico, le intercettazioni telefoniche non sorprendono nessuno e le telecamere di vigilanza collocate ogni dieci metri risultano quasi inpercepite. Dall’altro lato gli spazi politici e i settori sociali esclusi lasciano spazio alla gestione penale. Il sequestro di impiegati, l’illegalizzazione degli scioperi, la legge antiterrorista applicata contro i manifestanti, i fatti di Skouries, le occupazioni di scuole, le retate costanti contro gli immigrati “Xenios Zeus”, la repressione contro le donne sieropositive e contro gli zingari. Gli inquisitori dei mezzi di comunicazione, della giustizia e della polizia impongono la legalità come un concetto sacro. Come dogma. La legalità dev’essere realizzata con un fervore religioso, se non con devozione. Come un’orazione che porterà il sacro sviluppo. Le distopie presentate nella letteratura e nel cinema già guardano con stupore la realtà attuale.

La storia non è circolare, ma non è nemmeno una linea dritta. La storia va lì dove la portiamo. E se uno degli estremi, quello dei difensori del totalitarismo capitalista (espresso dalle maniere intimidatorie in cui il primo ministro Samaras si pronuncia in favore del memorandum o da uno sbirro nazi come Michaloliakos), continua a insistere nello spingerla verso l’oscurità più profonda e la barbarie assoluta, l’altro estremo, vale a dire gli anarchici, i comunisti e gli esclusi, nonostante le nostre pur piccole forze dobbiamo spingerla verso la rivoluzione, verso l’emancipazione del proletariato, la liberazione dell’attività umana dall’insieme capitale-lavoro salariato, verso l’anarchia e il comunismo.

Anastasios Theofilou
Carcere di Domokos
4 Novembre 2013

Grecia: Rilasciati Polykarpos Georgiadis e Vaggelis Chrisochoidis

I compagni Polykarpos Georgiadis e Vaggelis Chrisochoidis sono stati arrestati nell’Agosto 2008, accusati di rapina e del sequestro dell’industriale Mylonas. In appello, nell’Aprile 2012, le sentenze vennero ridotte di 22 e 12 anni circa.

I due hanno negato la partecipazione al sequestro, dimostrandosi però sempre solidali con il fuggitivo Vassilis Palaiokostas – accusato nello stesso caso e ad oggi fuggitivo.

Vaggelis e Polys hanno ottenuto la libertà condizionale, rispettivamente ad Agosto e Settembre 2013.

Libertà per tutti i/le prigionieri/e della guerra sociale!

Grecia : Un paio di note sull’arresto dell’anarchico Anastasios Theofilou

1.
Nell’attuale fase di “sviluppo” del capitalismo, il lavoro non è un diritto o un ricatto. Il lavoro è un privilegio. Per chi è lontano dal benessere materiale e spirituale della società del Capitale, il solo
modo per sopravvivere è il “crimine”.

Ed il crimine ha molte forme, molti significati e molte versioni. Contrapponendoci al significato tipico dei media, non dovremmo accettare la legge come limite tra etico e non-etico. Buono e cattivo. Giusto e sbagliato. Né, ovviamente, dovremmo cambiarne ingenuamente il segno utilizzando il crimine come limite tra ciò che è rivoluzionario e ciò che non lo è.

Occorre fare i conti col crimine con calma, andando oltre etica e romanticismo, come un’attività sociale in più le cui caratteristiche individuali ne definiscono l’importanza. In poche parole, un criterio della nostra critica deve controllare se un’attività, illegale o legale – questo non ci riguarda-, serve gli interessi personali della gente della nostra classe, o il progetto d’emancipazione della nostra classe dalla classe dei padroni e dei manager del Capitale. La classe, vale a dire, che ora si limita a strapparci con modi da rapinatori la nostra sola merce, la nostra forza lavoro, ma (peggio ancora) che ci priva della possibilità di venderla.

2.
Sono accusato di una rapina finita in tragedia. Non voglio menzionare questi incidenti finché non ne so niente, eccezion fatta per quanto passano le lenti deformanti dei media. Per un cittadino, cercare di difendere i soldi di un’istituzione, la di cui avidità ha portato i 2/3 dell’umanità alla povertà, è certamente qualcosa di assurdo.

Questo non significa che la risposta è ucciderlo. Non conosco le circostanze e dunque non posso sapere se si è trattata di un’esecuzione a freddo o di uno scontro finito ai proiettili. Mi piacerebbe credere, anche stando alle testimonianze dei testimoni, a quest’ultima situazione.

In ogni caso, una persona è morta. Una persone che se avesse pensato anche solo per pochi secondi a cosa stava per fare, avrebbe potuto cambiare idea e da persecutore sarebbe passato ad essere un sostenitore dei rapinatori.

Ma è morto e non può difendersi. Né da alcuni compagni che danno caratterizzazioni che non si addicono ad un morto, né soprattutto dai ladri di tombe dei reparti anti-terrorismo e dei media che hanno dato luogo ad un balletto sul suo corpo, per puro servilismo politico.

Sono un anarchico comunista. Amo la vita e la libertà. Lottiamo per abbattere le galere che opprimono al loro interno centinaia di vite. Lottiamo per la visione della liberazione sociale. Lottiamo per la liberazione della nostra classe dall’autorità del capitale.

27/9/2012
A. K. Theofilou
2° braccio della prigione di Domokos

fonti : i, ii

La Fortezza Olimpica incombe su Londra

I residenti di Tower Hamlets si sono inorriditi quando hanno appreso che missili di terra/aria dovevano essere posizionati su una torre sul loro sito, e praticamente sulla vecchia fabbrica di fiammiferi Bryant and May. Come risultato una campagna è stata istituita per contrastare le installazioni missilistiche, formata da residenti locali e sostenitori (per maggiori informazioni, qui).

Ma il posizionamento di missili qui e altrove è solo una parte della storia. Ben 48.000 forze di sicurezza saranno impiegate a Londra, oltre ai 13.500 soldati – più dei soldati dell’esercito britannico di stanza in Afghanistan. Un’arma sonica progettata per disperdere la folla con l’emissione di suono capace di causare “dolore fino a far scoppiare la testa”. Aerei senza equipaggio saranno in pattuglia ai cieli sopra Londra. Un portaerei sarà ancorato sul Tamigi vicino ad altre navi da guerra. Una “zona sicura” sarà messa in atto circondata da undici chilometri di recinzione elettrificata, e sorvegliata da 55 squadre di sicurezza con cani da attacco. Questa non è la Corea del Nord o l’Unione Sovietica, ma Londra di oggi-durante le Olimpiadi di Pechino, nemmeno il governo cinese ha messo una tale recinzione o aerei del genere.

L’Olympic Games 2006 Act (la legge che regola le Olimpiadi) impone che non solo la polizia e le forze armate, ma anche le forze di sicurezza private, possono usare la forza fisica per “proteggere le Olimpiadi”. Questo copre qualsiasi cosa, da manifestazioni e scioperi, fino la vendita di prodotti olimpici sulla strada che non sono ufficialmente approvati. “Squadre di protezione di marca” pattuglieranno all’interno dei Giochi per assicurarsi che solo i vestiti o gli accessori ufficialmente omologati con messaggi commerciali possono essere indossati.

In aggiunta persone che si congregano per strada, un fatto normale in particolare nei mesi estivi, saranno perseguitati, in particolare la gioventù locale della classe operaia. Questo sta già succedendo, con una maggiore sorveglianza e persecuzione nei comuni confinanti con l’impianti Olimpici. I senza tetto devono essere rimossi, infatti la polizia può rimuovere qualunque “considerato in alcun modo di essere causa di fastidio”.

Piuttosto, non vi è alcun segno che questo scomparirà con la fine delle Olimpiadi. La polizia uscirà più attrezzata ed arrogante di prima, interi quartieri saranno socialmente puliti e purificati, le tasse saranno aumentate per pagare tutto ciò, e tutti i dispositivi di sicurezza e le telecamere installate rimarranno al loro posto.

I Giochi non sono per lo sport. Essi si svolgono per il patriottismo commercializzato, il posizionamento del marchio, e per i profitti degli agenti immobiliari e dei proprietari. Sono lì per aumentare la spinta verso il neo-liberismo, per distruggere i nostri quartieri della classe operaia, per aumentare la potenza di uno stato che è sempre più uno stato di polizia. Chi è il nemico in questa nuova Gran Bretagna? Siamo noi, la maggioranza della popolazione!

Federazione Anarchica, giugno 2012

fonte