Atene: Azione anti-razzista e anti-patriotica a Pláka

Lunedi 20 aprile, al mattino presto, siamo andat* nel quartiere di Pláka per ricoprire un murale nauseabondo di disegni e slogan nazionalisti e razzisti fatti da un sedicente artista che si fa chiamare Tom e che utilizza quel muro di via Sotiros già da qualche anno. Questo murale di merda, che trasmette fra le altre cose messaggi che sostengono che le persone che arrivano dall´Africa sono portatori di malattie, era là da almeno tre mesi, quindi abbiamo pensato di reagire in qualche modo. Abbiamo gettato della vernice, e abbiamo coperto il muro coi seguenti messaggi e con dei simboli anarco-femministi:

Né patria, né padroni: autogestione (in portoghese)

Nessuna frontiera, nessun padrone (in inglese)

Fanculo la patria (in greco)

Spazziamo via i fasci (in francese)

Le vite nere contano (in inglese)

PS: Il giorno dopo l’azione il muro è stato ridipinto di blu. In caso riapparissero dei messaggi razzisti, seguiranno altre azioni.

Torino: Aggiornamento sul processo contro Billy, Costa e Silvia

Il 23 aprile si è svolta presso il tribunale di Torino l’udienza preliminare che vede imputati Billy, Costa e Silvia con l’accusa di voler attaccare con esplosivo il centro di ricerche IBM a Zurigo.

L’udienza è stata rinviata all’11 Giugno per una mancanza di documentazione inerente alla sentenza definitiva svizzera che ha fatto già scontare anni di carcere per gli stessi reati per cui oggi la procura di Torino vuole procedere.

RILANCIAMO LA LOTTA ALLE NOCIVITA’

silviabillycostaliberi.noblogs.org
resistenzealnanomondo.org

Milano: Contestato l’incontro Happy Biotech in solidarietà con Billy, Costa e Silvia, Lucio, Graziano e Francesco

Il 23 aprile, in occasione dell’inizio dei processi ai/alle nostrx amicx e compagnx Billy, Costa, Silvia e Lucio, Graziano e Francesco, istituiti dalla procura torinese, una decina di solidali hanno interrotto un convegno dal ridicolo nome “Happy Biotech” organizzato dall’Università degli studi di Milano.

L’intento dell’evento era di “avvicinare il più possibile la città a una conoscenza più approfondita delle biotecnologie e delle relative applicazioni in ambito biologico-industriale, farmaceutico, medico, veterinario o agro-ambientale e alimentare”.

A portare avanti la solita propaganda pro-biotech c’erano personaggi come Roberto Pilu, biologo ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Agrarie all’Università degli Studi di Milano, che collabora con varie multinazionali del settore biotech, tra cui Pioneer e Syngenta; il prof. Martin Kater, titolare dei corsi di genetica e genomica funzionale; e Adriana Maggi, ricercatrice e professoressa di Biotecnologie Farmacologiche dell’Università di Milano,  oltre che presidentessa della TOP srl (Transgenic Operative Products) di Lodi, azienda biotecnologica che si occupa di creare nuovi “modelli” di topi transgenici per esperimenti di tossicologia e per i test di nuovi farmaci, ed effettua anche esperimenti su di essi per conto terzi. Animali creati appositamente per la ricerca, che vivono tutta la loro esistenza tra le mura asettiche di un laboratorio, rinchiusi in scatole di plexiglass aspettando di morire nel “sacro nome della scienza”. TOP srl ha inoltre stipulato un contratto con Charles River, azienda leader mondiale nella fornitura di animali da laboratorio geneticamente modificati.

Abbiamo deciso di interrompere la conferenza quando sul palco è salita Adriana Maggi, convinta vivisettrice e assassina di animali, aprendo uno striscione e urlando tutto il nostro disgusto per questi personaggi che si credono i padroni della Terra.

Qualche studente presente alla conferenza ci ha chiesto di rimanere fino alla fine per il dibattito, ma per noi dibattere con costoro non ha senso, sennò saremmo tra le fila di partiti come M5S o i VERDI a chiedere voti, o nell’organigramma del WWF o di Greenpeace pronti a ricevere il 5Xmille o una firma per dire no agli OGM, perdendo tempo in dibattiti che non fanno altro che muovere l’aria.

Noi siamo in guerra con questi produttori di veleni, non vogliamo un’esistenza democraticamente pacifica per entrambi – vogliamo la distruzione di ciò che ci sta distruggendo, e lo vogliamo ORA.

Abbiamo dunque lasciato il convegno ribadendo la nostra totale solidarietà a chi si ribella a questo esistente, a chi non si rassegna a vedere il selvaggio sempre più stretto nella morsa di cemento ed ipertecnologia (di cui treni ad alta velocità, biotecnologie e nanotecnologie sono solo alcuni esempi).

RILANCIARE LA LOTTA ALLE NOCIVITA’! SOLIDARIETÀ ALLE/AI RIBELLI DELLA TERRA!

Inviamo amore e rabbia a Billy, Costa, Silvia e Lucio, Graziano e Francesco. LIBERX TUTTX!

Alcunx nemicx delle nocività
27/04/2015

Grecia: Fine dello sciopero della fame della Rete Dei Prigionieri Combattenti

Attraverso un comunicato emesso la notte del 18 aprile 2015, i compagni Antonis Stamboulos, Giorgos Karagiannidis, Fivos Harisis, Argyris Ntalios, Grigoris Sarafoudis, Andreas-Dimitris Bourzoukos, Dimitris Politis e Yannis Michailidis, membri della Rete dei Prigionieri Combattenti (DAK), hanno annunciato la fine del loro sciopero della fame, considerando che buona parte delle loro rivendicazioni erano state in parte soddisfatte dopo il voto del nuovo progetto di legge in parlemento:

– Il quadro legislativo che stabilisce il funzionamento delle prigioni di tipo C è stato ritirato. (Nonostante questo l’articolo 187 sulle organizzazioni criminali e l’articolo 187A sulle organizzazioni terroristiche rimangono).

– Abolizione dell’aggravante di azione realizzata a viso coperto («legge del passamontagna») per i casi di arresto durante le manifestazioni, ma viene mantenuta in caso di rapina (anche se la pena minima che si aggiunge a quella per rapina, se a viso coperto, passa da 10 a 5 anni).

– Presenza di un esperto indipendente fin dalla prima fase di raccolta del materiale genetico (ma il prelievo forzato del DNA conserva comunque il suo carattere obbligatorio).

– I/Le prigionier* che hanno passato in prigione 10 anni e il cui grado di invalidità supera l’80% potranno uscire di prigione per scontare il resto della condanna ai domiciliari con un bracciale elettronico, cosa che apre la strada alla liberazione di Savvas Xiros (il cui grado di invalidità raggiunge il 98%).

AUGURIAMO FORZA E RIPRESA RAPIDE AI COMPAGNI DELLA RETE DEI PRIGIONIERI COMBATTENTI

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Cile: Testo di Natalia Collado, arrestata il 7 aprile

Nota di Contra Info : Natalia Collado e Javier Pino sono stat* detenut* il 7 aprile poco tempo dopo l’incendio di un pullman della ditta Transantiago nel settore della Stazione Centrale di Santiago. Il 10 aprile, Natalia e Juan sono stat* trasferit* in carcere preventivo, accusat* di installazione ed attivazione di ordigno incendiario in un mezzo pubblico, sotto la legge di controllo delle armi.

haAmiche/i, compagne/i, famiglia ed affini.

Attraverso le poche parole che ho potuto scambiare con qualche persona (perché finora sono in isolamento e non so quasi niente di quello che accade), ho sentito parlare della settimana di agitazione che si fa (si può togliere) tra il 10 ed il 20 di aprile in solidarietà con le/i prigioniere/i antiautoritari-e, specialmente con quelle/i che scontano condanne lunghe. A questo proposito, mi piacerebbe scrivere qui qualcosa sulla solidarietà, e particolarmente sulla solidarietà con le/i compagne/i prigioniere/i.

Pensavo tempo fa, ed ora con l’esperienza vissuta mi sembra più chiaro, chequando un* compagn* arriva (?)in prigione e finisce finalmente prigionier*, ha come primo sostegno se stess*, le sue convizioni, pensieri, idee, sentimenti, e l’amore proprio, la sua individualità, la quale è fondamentale nel momenti in cui ci si  confrontar con un luogo così brutto e decadente come il carcere : siamo noi stess* la nostra fonte di forza. Ma succede che le nostre orecchie ed i nostri occhi incontrino gesti, iniziative, azioni per noi, e quel momento in cui si sente come un abbraccio, si gonfia il petto e si forma l’immancabile sorriso, è il momento in cuisi oltrepassano i muri del carcere e tutta quest’individualità del/la prigioniera/o, e ci si riempie di più forza e riaffermazione.

Capisco quel momento come complicità, perché sappiamo che lottiamo ancora. Mi aggiungo all’appello che si sta realizzando e chiamo alla solidarietà con le/i prigionier* di tutti i territori che lottano e prendono posizione contro ogni autorità.

Tutto il mio affetto e la mia forza per quell* che affrontano lunghe condanne e a cui gli anni non annichilano né le idee né i sentimenti. Non dimentichiamo neppure che il carcere, prodotto umano, affetta attualmente altri esseri. Animali ingabbiati e torturati per la compiacenza umana.

Mi fermo qua volendo inviare tutto il mio amore ai miei amici, alle mie amiche, compagn*, famiglia ed alle ragazze della lotta antipatriarcale.

Tato (Natalia Collado)
Dalla sezione 1, carcere di san miguel
Domenica 12 aprile.

francese | greco

Svezia: Azioni contro lo Stato ed il capitalismo

Niñxs salvajes 2Nel corso della quindicesima settimana del 2015, tra il 10 ed il 12 aprile, nel distretto di Midsommarkransen sono state bruciate delle automobili di proprietà della ditta di sicurezza privata Nokas, e la porta d’ingresso dell’Agenzia Svedese per la Crescita Economica e Regionale (Tillväxtverket) sull’isola-distretto di Södermalm è stata spaccata.

Nokas è stata attaccata in quanto simbolo dell’amministrazione del capitalismo, e l’Agenzia Svedese per la Crescita Economica e Regionale perché è una delle maggiori fondazioni ideologiche che mira allo sviluppo delle disugualianze sociali tra quell* che sono stat* ancora di più premiat* e quell* che sono stat* buttat* più in fondo nella miseria e l’incertezza.

Stavolta, le nostre azioni erano rivolte contro bersagli materiali e simbolici soltanto. Le persone incaricate di quel sviluppo non sono però dimenticate o perdonate.

Finché le persone saranno obbligate a vivere nella schiavitù del capitalismo, contrattaccare sarà sempre giusto .
Combattiamo il potere con ogni mezzo disponibile.

Libertà per i/le nostr* compagn* incarcerat* in Svezia e nel mondo.

originale ricevuto in svedese | greco | francese | inglese

Montevideo, Uruguay: La lotta è nelle strade, non nelle urne

montevideoDire che appaiono ogni cinque anni non è un cliché. Le elezioni municipali si avvicinano e nei loro programmi i politici abbordano un tema comune. Tutt* parlano di un problema che non l* aveva mai interessat* prima: lo zoo Villa Dolores.

Ma cosa è cambiato in questi ultimi tempi perché di colpo si interessino tutt* ai cambiamenti o alla chiusura di questo zoo, e da quali interessi sono spint*? La risposta è chiara: la lotta che viene portata avanti e la quantità di persone che pensano che lo zoo Villa Dolores deve chiudere immediatamente. Non è assolutamente un caso che per anni non abbiano mai menzionato la vicenda e che ora che ci troviamo nel bel mezzo di una campagna per chiuderlo, e che in più si avvicinano le elezioni municipali, tutt* ne abbiano qualcosa da dire.

Nel ventaglio di opportunist* che approfittano della situazione per trarne vantaggio (voti), ce ne sono di ogni tipo, da quell* che ritengono che Villa Dolores debba essere chiuso a quell* che affermano che non si dovrebbe mantenere il modello attuale dello zoo proponendo più o meno la stessa cosa che fa l’amministrazione: una prigione di animali autoctoni.

Mentre questi personaggi a caccia disperata di voti girano tutta la stampa riempiendosi la bocca di quello che farebbero o non farebbero una volta lo zoo nelle loro mani, noi giriamo tutte le vie col pugno levato durante ogni corteo, con i nostri cartelli e i nostri manifesti, decis* a frenare la carcerazione. Mentre loro escono a ripetere i loro slogan vuoti nei loro discorsi, noi mettiamo il tema in discussione attraverso l’informazione dispensata sulle piazze e nei mercati. Mentre loro riempiono la città di manifesti e affreschi con un nome e un numero che non dicono niente, noi lasciamo il segno della lotta con dipinti e attività.

Il motore di questa campagna è la libertà, libertà che non esce da nessuna urna, ma soltanto dalle nostre azioni, quelle che conduciamo ogni giorno, individualmente o collettivamente a fianco di chi partecipa a questa lotta. Non quelli che ne parlano per ottenere qualcosa in cambio, non quelli che si battono per il potere.

Nessuno li chiama, ma compaiono sempre. Come la traiettoia di una cometa vista dalla Terra, questo fenomeno si ripete con precisione matematica, ogni cinque anni in questo caso, intervallo durante il quale i politici si aggrappano ovunque possono per ottenere qualche voto; ora si tratta della lotta per chiudere lo zoo, ieri era quella contro la mega-mina Aratirí, e se risaliamo nel tempo, non finisce mai.

Mentre il riformista Álvaro Garcé si fa propaganda attraverso il suo ambizioso piano di apportare qualche cambiamento allo zoo, e mentre gli opportunisti Virginia Cardozo, Edgardo Novick e Daniel Martínez tentano di raccattare qualche voto con la favoletta di voler chiudere lo zoo, la lotta non si ferma un solo secondo.

Una cometa passa e rimane lontana, ed è tutto quello che ci si deve aspettare dalle elezioni municipali, che passino, perché non hanno niente a che vedere con la lotta.

Né con i/le riformist*, né con gli/le opportunist*.

La lotta si svolge in strada, non nelle urne.
Le riforme non ci fermeranno, faremo chiudere Villa Dolores!

Coordinazione per la chiusura dello zoo Villa Dolores
Montevideo, Aprile 2015.

francese

Prigioni cilene : Parole di Tamara Sol Farías Vergara e Natalia Collado

[16 aprile]

(Vorremmo dilungarci maggiormente, ma la possibilità di far passare questo messaggio e rendere visibile la nostra azione è limitata)

Agli affini:

Nel corso della settimana di agitazione per i/le prigionier* anti-autoritar* di tutti i territori che si tiene in questi giorni, e che include per domani una giornata con un appello solidale con i/le prigionier* di lunga pena, Natalia Collado e Tamara Sol Farías mandano tutto il loro amore, sostegno e rivolta e decidono di digiunare per tutta la giornata di venerdì 17 aprile.

Mandiamo tutta la nostra forza e tutto il nostro affetto specialmente a Nataly Casanova, che fa lo sciopero della fame per chiedere la fine del regime carcerale di isolamento. Compañera, nessuna prigioniera è sola!

Per la liberazione totale, abbasso il patriarcato e la società tecno-industriale!!
Solidarietà con tutt* i/le prigionier* anti-autoritar* !!

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Lecce: Iniziativa solidarietà e contro le nocività

Iniziativa copiaCREPI IL VECCHIO MONDO!

Esprimere solidarietà a coloro che sono colpiti dalla repressione è un modo per far sì che non siano e non si sentano isolati, soprattutto quando detenuti. Continuare le lotte è un modo ulteriore per evitare che la repressione non diventi freno, ostacolo per proseguire e mettere in atto ciò che ci preme: l’attacco verso questo mondo disopraffazione. Il 23 aprile inizieranno due processi nei confronti di alcuni compagni. Graziano, Lucio, Francesco accusati di sabotaggio ad un compressore in Val di Susa.

Silvia, Costantino, Billy accusati di un tentato attacco ad un centro di ricerca sulle nanotecnologie di proprietà di IBM e Università di Zurigo. Per questo atto sono già stati processati, detenuti e condannati in Svizzera, ora il tribunale di Torino vorrebbe processarli nuovamente. Il motivo per cui ne parliamo contemporaneamente non è la data del processo ma le ragioni per cui si trovano a dover affrontare la repressione: la lotta contro le nocività. Non vogliamo che tutto si riduca solo ad una questione ambientale ma, come alcuni di questi compagni hanno ribadito, le nocività non sono tali solo per la devastazione che esse portano all’ambiente e all’uomo ma per la loro ragione sociale. Esse sono ciò che Stato ed Economia impongono sulle nostre teste, cambiando irreversibilmente il nostro modo di vivere e di rapportarci alla natura e alle persone. Sono il tentativo di meccanizzare tutto quanto e rendere le nostre vite dei meri numeri da contabilizzare sulla strada del profitto.

Questo rappresenta, per noi, un treno ad alta velocità, un mezzo funzionale a percorrere distanze in tempi sempre più ridotti per non correre il rischio di perdere tempo che, per i padroni, è denaro. Questo rappresentano per noi le bio e le nanotecnologie: il tentativo di manipolare e controllare il vivente, attraverso tecnologie e apparati sempre più piccoli che permettano applicazioni insperate ad un dominio sempre in cerca di nuova linfa. Questo rappresenta per noi un gasdotto o un impianto per produrre energia, quella stessa che permetterà a questo sistema di riprodursi e riprodurre altre nocività. La lotta al gasdotto Tap può essere un modo per praticare la solidarietà verso i compagni colpiti dalla repressione e per mettere in discussione il sistema in cui siamo immersi, di cui dovremmo cercare di sbarazzarci il prima possibile. Vogliamo affrontare queste ed altre questioni inerenti alla lotta al Tap e ai prossimi possibili passi da fare.

VENERDI’ 17 APRILE ORE 19:30
A SEGUIRE BUFFET BENEFIT DETENUTI

CIRCOLO ANARCHICO
VIA MASSAGLIA 62/B
LECCE

Per farla finita con il Prigioniero Politico

Da qualche anno in qua, vediamo riapparire il termine “prigioniero politico”. Un termine che credevamo scomparso da molti decenni, almeno all’interno delle sfere antiautoritarie.

Un termine diventato tipico di diverse sette marxiste o maoiste, di Amnesty International oppure degli oppositori politici borghesi a regimi autoritari come la Russia, la Birmania o l’Iran; oppure, ancora, nel quadro delle lotte dette di “liberazione” nazionale, dai Paesi Baschi al Kurdistan, passando per la Palestina; ma tipico anche dell’estrema destra. Ecco, in parte, il motivo della nostra inquietudine di fronte al rifiorire di questo termine qua e là per il mondo, in bocca a compagni. E se desideriamo farla finita, oggi e per sempre, con questo termine, non è soltanto perché si oppone a tutte le nostre prospettive antipolitiche, contro tutti quelli che vogliono gestirci, rappresentarci e dominarci per mezzo dell’arma della politica. È anche perché, assieme a questa risurrezione vi è, conscia od inconscia, la conseguenza malsana di creare delle distinzioni fra i prigionieri basandosi soltanto sui “crimini” dei quali lo Stato li accusa, attraverso la lente del Codice penale. Ciò crea una gerarchia sociale, secondo la supposta virtù degli atti incriminati, fra chi merita di più di essere liberato o sostenuto e gli altri. Azzerando tutte le secolari critiche anticarcerarie degli anarchici e degli antiautoritari. Si tratterebbe perciò di esprimere la propria solidarietà soltanto nei confronti di prigionieri detenuti a causa delle loro idee, a discapito del resto della popolazione carceraria, completamente dimenticata o utilizzata giusto per avvalorare sulla sua pelle un qualche discorso.

Ma cos’è un prigioniero politico, esattamente? Vediamo dalla parte del dominio: per il Consiglio d’Europa, per esempio, un detenuto deve essere considerato come prigioniero politico se la sua detenzione è stata imposta in violazione di una delle garanzie fondamentali enunciate nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in particolare “la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà d’espressione e d’informazione e la libertà di riunione e di associazione”. Ma anche se la detenzione è stata imposta per ragioni meramente politiche, senza rapporto con una qualunque infrazione. Ma questo tipo di chiacchiere democratiche concerne gli anarchici?

Per essere chiari, noi sosteniamo che la maggior parte delle detenzioni, oggi come da sempre, sono dovute molto più a contesti e motivi politici che ad infrazioni precise. Perché, anche se in un processo le accuse si appoggiano quasi sempre su fatti precisi, sono pur sempre lo Stato ed il suo sistema giudiziario a decidere in quale misura reprimere questo o quell’atto specifico, questa o quella parte della popolazione. Perché la repressione di tutti gli atti detti “illegali” è cosa chiaramente impossibile tecnicamente. Ciò a causa del numero troppo elevato di leggi, del numero degli effettivi della polizia o di altre motivazioni tecniche, oppure politiche, dato che la tolleranza zero porterebbe con sé maggiori rischi di rivolta. La repressione dell’illegalità (di cui l’incarcerazione è uno dei mezzi) risponde quindi ad una strategia e ad un’agenda politiche.

Forse che non mettono le persone in galera allo scopo di fare salire o scendere le cifre che serviranno alle ambizioni elettorali dei politici, per dimostrare un discorso oppure per gettare polvere negli occhi? Forse che non incarcerano principalmente degli indesiderabili che non vogliono vedere altrove nella società, indesiderabili che molto spesso sono alle prese con le istituzioni repressive a causa della loro povertà e quindi della loro incapacità di difendersi con gli strumenti che la giustizia sostiene “garantire” loro, come gli avvocati, che lavorano solo se vengono pagati caro, oppure le garanzie di reddito e di residenza, un lusso per la maggior parte dei detenuti. Tutto è fatto in modo che le prigioni siano piene di poveri ed esse lo sono, questo è sicuro.

Allora, se la giustizia non può che essere una giustizia della borghesia contro i poveri indocili (o meno), una giustizia di classe, allora quale prigioniero non è un prigioniero politico? Se la prigione ha delle vere funzioni politiche e sociali, come il mantenimento dell’ordine e la pace sociale, allora quale prigioniero non è un prigioniero politico? Per dirla in maniera più semplice, dato che la prigione è uno strumento politico, allora tutti i prigionieri sono dei prigionieri politici. Ed in tal caso, tanto vale buttare il termine nel dimenticatoio della politica, appunto. Perché quest’ultima non è qualcosa che noi rivendichiamo, ma qualcosa che vogliamo distruggere fino alla sua ultima manifestazione.

Per di più, possiamo anche mettere in dubbio questo termine per quanto riguarda i suoi aspetti “innocentisti”. In effetti, viene spesso utilizzato per qualificare il carattere “ingiusto” di una incarcerazione, come spesso avviene con Mumia Abu-Jamal, Georges Ibrahim Abdallah o le Pussy Riot, tanto per utilizzare degli esempi fra i più celebri o mediatizzati al giorno d’oggi. Sovente, questo si palesa attraverso l’insistenza a voler dimostrare che si è “innocenti”, poiché detenuti unicamente a causa delle proprie idee: esigere uno statuto di prigioniero politico significa esigere la libertà d’espressione (o il suo rispetto, in quei paesi in cui essa è già ufficialmente e teoricamente riconosciuta). Ciò comporta l’effetto perverso di giustificare allo stesso tempo la detenzione dovuta a “veri” delitti, che non rilevano di tale libertà d’espressione. Nel caso in cui i prigionieri abbiano con ogni evidenza commesso gli atti di cui sono accusati e li riconoscano, definirli come “prigionieri politici” significa voler provare che quegli atti non erano che una risposta a leggi “ingiuste” ed “illegittime”, come se certe altre (quelle per cui sono rinchiusi gli altri prigionieri) fossero “giuste” e “legittime”. Alla fine, nei due casi si tratta di affermare la loro innocenza rendendoli non responsabili, in una maniera o in un’altra, oppure cercando di rendere i loro atti legittimi agli occhi del nemico. Un approccio che non converrebbe, per esempio, per dei rapinatori, e che ad ogni modo non ha nulla di anticarcerale o di rivoluzionario. Che si tratti di esigere la “libertà d’espressione” o di protestare contro l’”ingiustizia” di una legge, entrambe queste manovre non sono altro che richieste fatte allo Stato in vista di riformarlo, migliorando così il suo dominio sulle nostre vite.

In quanto anarchici, noi non vogliamo entrare in un dibattito politico (con o senza il potere) per definire cosa è moralmente giusto e virtuoso e cosa non lo é. Da buoni profani, lasciamo tutto ciò alla loro giustizia e alle loro chiese di ogni tipo. La sola cosa che ci interessa, quanto alla prigione, è la sua distruzione totale e definitiva, senza trattative e senza transizione. E sarà soltanto attraverso la lotta e la rivolta, all’interno come all’esterno, che vi arriveremo.

Non stiamo dicendo, qui, che tutti i prigionieri meritano la nostra solidarietà incondizionata. Perché non vediamo la solidarietà come un debito o un dovere, ma come un’arma di reciprocità nella guerra contro l’esistente. Ecco perché la nostra solidarietà va a tutti i prigionieri in rivolta che, senza mediazioni, lottano contro le condizioni a cui sono sottoposti, senza particolari distinzioni. Perché se non condividiamo il pensiero o gli atti di tutti i prigionieri e a volte possiamo anche disprezzarli completamente, dobbiamo essere chiari su un punto: ci opponiamo alla detenzione in tutte le sue forme e non la auguriamo nemmeno ai nostri peggiori nemici. La relazione che intratteniamo con i prigionieri in rivolta è, quindi, una relazione interessata, perché si tratta dell’incontro fra interessi che convergono, quelli della rivolta e/o dell’insurrezione. Non è questione di martiri o di grandi abnegazioni… Non si tratta di altruismo, si tratta soltanto di compagni, quindi di complicità, che non dev’essere confusa con la carità.

Certo, è più facile per noi dare la nostra solidarietà a compagni piuttosto che a sconosciuti con cui non abbiamo una storia comune, perché il come e il quando ci sono più facilmente e rapidamente accessibili ed identificabili, ma la solidarietà non deve far prova di oziosità, essa deve oltrepassare le frontiere identitarie dei piccoli gruppi, per allargarsi a tutti i prigionieri della guerra sociale e tendere alla libertà di tutti, altrimenti questa solidarietà non avrebbe nulla di rivoluzionario, sarebbe soltanto un vuoto segno di riconoscimento fra persone avvedute, che non vale più di qualunque altra forma di solidarietà comunitaria e identitaria.

A partire da tutto ciò, quando sentiamo dei rivoluzionari antiautoritari dichiararsi “prigionieri politici”, o peggio ancora esigere tale statuto dal nemico, deploriamo una tale maniera di distinguersi dagli altri prigionieri. Qual è la volontà dietro tutto ciò, se non quella di far valere l’”illegittimità” della propria detenzione oppure chiedere al nemico un trattamento differenziato, dei privilegi o un’amnistia?

Capiamo bene qual è l’interesse ad essere raggruppati fra rivoluzionari, in prigione; la vita quotidiana vi è più fluida e i prigionieri potrebbero probabilmente capirsi meglio (ma perché, esattamente?). Ma, d’altro canto, il separarsi dagli altri detenuti è davvero una buona idea per un agitatore rivoluzionario, qualcosa che molti fanno già fuori rinchiudendosi in modi di vita comunitari, all’interno di centri sociali e contro-culturali in ambienti sclerotizzati di consanguineità?

D’altra parte non è un caso se, come si può vedere in Grecia o in Italia, lo Stato ha piuttosto una tendenza a raggruppare i prigionieri anarchici fra di loro, separati dagli altri detenuti. Si tratta proprio di evitare che le loro idee e le loro pratiche di rivolta e di lotta si diffondano fra il resto della popolazione, di evitare l’infezione. Si tratta di assicurare la pace e l’ordine separando quelli che, riuniti, potrebbero far sudare ancor di più le amministrazioni penitenziarie.

Noi rifiutiamo, quindi, tale distinzione fra “prigionieri politici” e “prigionieri di diritto comune”, poiché essa diventa per forza una giustificazione del sistema carcerale. Perché non ci sono prigionieri politici, oppure tutti i prigionieri sono politici, quindi nessuno.

Solidarietà con i prigionieri e le prigioniere della guerra sociale,
libertà per tutti e tutte.

Alcuni anarchici antipolitici ed antisociali per l’infezione.

[Tratto da Des Ruines, Revue anarchiste apériodique, n. 1, gennaio 2015.]

Francia: Attaccata la sede del partito UMP di Tolosa

Martedì 14 aprile 2015 la sede del partito Unione per un Movimento Popolare (UMP) di Tolosa è stata espulsa.

Il Comune UMP di Calais mena da diversi anni una politica razzista e securitaria contro i poveri e in particolare i/le migranti. Ultimamente ha aperto un centro d’accoglienza diurno con lo scopo di allontanare i/le migranti dal centro città e poterli/e quindi controllarli/e meglio. In queste ultime settimane ha fatto di tutto per costringerli/e a radunarsi in un’ex discarica non lontano dal centro diurno. L’8 aprile 2015 dei consiglieri UMP, spalleggiati da alcuni impiegati comunali, sono andati in uno squat di migranti a Calais e hanno obbligato gli/le occupanti ad andarsene. Poi hanno devastato la casa per renderla inabitabile.

IL COMUNE UMP DI CALAIS ESPELLE!

Anche a Tolosa il Comune UMP designa dei capri espiatori, che si tratti dei/lle giovani dei quartieri, delle prostitute, di chi ha dei problemi di alloggio. Ogni volta questo partito basa la propria legittimità sulle opposizioni di classe, razza, sesso, scegliendo orgogliosamente il campo degli oppressori. E così un gruppo si è introdotto nella sede UMP in pieno cuore di Tolosa, per ricordargli il loro sporco lavoro. Il mobilio è stato spostato in strada, i dossiers sono stati un po’ sparpagliati, la facciata ridipinta : niente in confronto a quello che subiscono ogni giorno i/le migranti di Calais (pressioni, trasferimenti forzati, espulsioni, molestie da parte delle forze dell’ordine e dell’amministrazione).

Oggi il bersaglio è stato l’UMP ma non dimentichiamo la responsabilità del PS, dello Stato o dei fasci.

Di notte o in pieno giorno, da soli/e o in 300, ognuno/a di noi può agire!

Qui sotto, il volantino distribuito durante il trasloco forzato dell’UMP:

L’UMP di Calais espelle!
Espelliamo l’UMP !

In Francia, come altrove, migliaia di migranti fanno le spese della guerra ai poveri intrapresa dagli Stati, e ormai da tutta l´Europa. Costretti a lasciare il loro paese – fin troppo spesso a causa dei disordini provocati dall’avidità delle potenze occidentali – queste persone si ritrovano braccate dalla polizia, esposti a pericolo di morte quando tentano di attraversare una frontiera, e disprezzati da tutte le amministrazioni. Mentre la situazione peggiora, alcuni/e ritengono che non tutte le vite hanno lo stesso valore: questo permette loro di sottrarsi alle loro responsabilità. Noi urliamo il contrario: nessuno è illegale, tutti/e i/le rifugiati/e sono i/le benvenuti/e.

A Calais, il comune UMP cerca di approfittare di questo stato di cose in maniera oscena. Favorisce in ogni modo il razzismo nei confronti dei e delle migranti, quando non manda semplicemente i propri impiegati comunali a fare lo sporco lavoro di espulsione generalmente riservato ai poliziotti. Questo partito nauseabondo tenta di approfondire la spaccatura tra i diversi popoli in funzione del colore della loro pelle, della loro lingua o del loro paese di origine.

Oggi prendiamo di mira questo covo di reazionari: se questa volta i poliziotti non hanno nemmeno dovuto espellere manu militari, la pressione esercitata sui sans-papiers resta comunque inammissibile. Ma che sia ben chiaro, sarebbe assurdo additare un partito politico come unico responsabile. In effetti la prefettura “socialista” del Pas-de-Calais non è da meno quando si tratta di mandare i propri scagnozzi in uniforme a terrorizzare le migranti e i migranti. Non ci aspettiamo niente dai politici, che non trovano niente di meglio che aizzarci gli uni e le une contro gli altri. In compenso pensiamo che la solidarietà tra chi subisce la violenza dello Stato è l’unica riposta adeguata al loro cinismo.

Attaccheremo i responsabili e le strutture che appoggiano tali iniquità.
Continueremo a combattere il razzismo, ovunque si trouvi.

Abbasso le frontiere!
Morte agli Stati e alle nazioni!

fonte: indymedia nantes

Lille: Vernice contro la gentrificazione

Vernice contro il comune, la gendarmeria, la “casa dell’hip-hop” e l’istituto Pasteur.

Nella notte tra il 23 e il 24 marzo le facciate del comune, della gendarmeria, della Mangusta (un tempo casa occupata) e della “casa dell’hip-hop” sono state attaccate a colpi di vernice. Abbiamo scelto questi bersagli perché ci opponiamo alla riabilitazione dei quartieri popolari e alla politica municipale di espulsione dei poveri per rendere i quartieri più appetibili agli occhi dei promotori immobiliari.

Lo Chti d’Arras, storico luogo di attività e di vita occupato illegalemente da diversi anni (e dove si tenevano concerti e altri eventi hip-hop) è stato espulso e sostituito dalla “casa dell’hip-hop” o “Centro Europeo di Cultura Urbana”. Un buon metodo per il comune di recuperare quello che già esisteva senza il suo aiuto, svuotarlo di tutto quello che aveva di sovversivo, e trasformarlo in un prodotto cultural-commerciale.

Numerose pratiche contrastano di fatto questa logica. Che si tratti di occupare terreni, immobili o case vuote, o attraverso lo sciopero degli affitti, alloggiare o sperimentare nuovi rapporti sociali, ci si ritrova rapidamente di fronte alla repressione. Lo dimostra la recente espulsione della Mangusta (edificio vuoto da diversi anni e di proprietà dell’istituto Pasteur), squat che si trovava in pieno centro di Lille, molto visibile, aperto a tutto il quartiere e quindi fastidioso per il comune. I mezzi dispiegati in questa occasione (presenza importante delle forze di polizia, quartiere bloccato per tutta la mattina) mostrano in effetti la volontà di stroncare alla radice ogni iniziativa di organizzazione che non sia loro subordinata. Esistono ancora diversi luoghi occupati, in particolare l’Insoumise (libreria d’occasione che propone numerose discussioni, proiezioni etc), che sono anch’essi espulsabili.

Non abbiamo intenzione di lasciarli fare, e non aspettiamo né il loro permesso né il diritto di farlo. Non otterremo che quello che sapremo prenderci. Facciamo appello alla solidarietà di tutti/e coloro che lottano e subiscono la politica economica e sociale dello stato e dei suoi sbirri.

Guerra a questo vecchio mondo. ACAB.

fonte: indymedia lille (via attaque)

Cile: Contro la società carceraria, né silenzio, né dimenticanza, solo lotta

10-20 aprile. Giornate di solidarietà con i/le prigionierx della guerra sociale nelle carceri cilene.

Appello:

* A tuttx i/le nostrx fratelli/sorelle, compagn*, familiari e amori.

* Alle complicità multiformi del mondo intero che attaccano il presente di sfruttamento e povertà, di dominazione, di capitale e di morte.

* A tuttx i/le prigionierx sovversivx, autonomi, libertari/e, rivoluzionari/e, anti-autoritari/e che non negano i loro legami né le loro convinzioni e resistono quotidianamente e degnamente, non solo con le parole ma anche con azioni concrete.

“Chi ha paura della libertà sente l’orgoglio di essere schiavo”
–M. Bakunin

La lotta contro il potere della dominazione e tutti gli apparati simbolici, soggettivi, tangibili e di valori che lo sostentano e sostengono richiede innanzitutto quella decisione individuale, radicale e irremovibile di portare la tensione in tutti gli spazi della vita, rendendo quest’ultima un continuo percorso di liberazione. È chiaro che arrivare a questa convinzione, decisione, scelta implica un processo che ognuno vive in maniera unica e irripetibile a seconda del contesto e le circostanze nelle quali abbiamo aperto gli occhi per lottare. camminare verso l’emancipazione come principio guida per la distruzione della società di classe non è un processo immediato, né in solitario, anche se può essere individuale, grazie all’incontro delle idee costruiamo legami che ci rendono fratelli nella pratica, producendo punti di affinità, incluso con menti coscienti che non conosciamo direttamente ma coi quali intraprendiamo un percorso comune.

Ma quando lo spettacolo sociale della non-vita che chiamano democrazia ti offre la sua indignata possibilità di partecipazione cittadina attraverso tutti i suoi apparati di controllo, quello che in fondo cerca è di annullare fin nel più profondo di ogni coscienza la possibilità, certa, di ribellione. Allora, di fronte ai molteplici formati dell’ideologia dello Stato-prigione-capitale, opporre la resistenza offensiva delle nostre convinzioni significa scavalcare ogni margine, muraglia o frontiera in cui vorrebbero farci vivere l’accettazione cieca dei suoi marci rapporti di potere, della loro morale nauseabonda, della loro politica e la loro visione del mondo.

Allo stato attuale delle cose, resistere offensivamente implica chiaramente passare dalla parola all’azione, dalla mera dichiarazione alla lotta ribelle contro l’ordine esistente, dalla semplice critica priva di contenuto alla proliferazione dell’antagonismo in vista della rivolta.

In questo modo noi che cerchiamo di riprendere in mano le nostre vite spezzando le catene che ci opprimono stiamo stati esposti allo scacco matto repressivo e mortifero dello stato. La legge del potere, sempre disposta a difendere la dominazione, viene ben oliata per condannare e castigare chi si ribella. Approfondire la conseguente coerenza fra teoria e pratica ci ha fatto passare per gli angoli più bui dell’architettura poliziesca-penitenziaria dello Stato-Capitalista. Non siamo stati né i primi né i soli, e non saremo gli ultimi… Eppure, nella particolarità presente dell’attuale universo di prigionieri in guerra si esprimono diverse esperienze di resistenza alla detenzione dalla fine degli anni 80 nelle demenziali prigioni di alta e massima sicurezza in Cile, Perù, Brasile e Argentina fra gli anni 90 ed oggi. Attraverso processi giuridico-politici modellati e falsificati in funzione degli interessi contro-insurrezionalisti… La tortura e la repressione diretta hanno fatto una costante della criminalizzazione di famiglie e affetti dei diversi ambienti, cosa che invece di spaventarci, ha rafforzato quella forza vitale che ci ha fatto insistere e continuare in quanto individui al di là delle etichette caricaturali divenute da parte dell’eterna diffamazione giornalistico-poliziesca, e incluso il settarismo di sinistra e anarchico che non fa che scomporre, dividere e frazionare i continui tentativi di allargare la frangia insorta su cui si fondono esperienze diverse che promuovono l’autonomia, l’azione diretta, il mutuo sostegno, l’affinità e l’orizzontalità nella lotta per la liberazione totale.

La realtà dei prigionieri in guerra nelle carceri cilene non può essere distorta. Nel giorno dopo giorno c’è lotta, non c’è silenzio, e ancor meno oblio. Diverse generazioni di sovversivi che si incontrano con sguardi simili in questo presente di lotta. Ed è per questo che, contribuendo alla rottura della frammentazione degli spazi affini e vicini ad ogni prigionierx, vogliamo provocare passi d’avvicinamento concreto attorno a punti comuni minimi in seno a uno scenario profondamente sfavorevole, ma che non sarà mai un ostacolo per contribuire individualmente alla collettivizzazione della lotta a tutti i livelli della realtà. In questo contesto, lanciamo un aperto appello a estendere tutte le iniziative possibili di lotta contro tutte le espressioni della società carceraria. Chiamiamo a mobilizzare la fantasia, la volontà e la voglia, fra il 10 e il 20 aprile.

Salutiamo le lotte dignitose che nel presente si sono moltiplicate nelle prigioni greche, capitoli che dalla vicina distanza accompagniamo con sincero affetto.

Salutiamo anche il Messico Nero, che si alza e cresce nella lotta anti-autoritaria, ai/le compagnx in prigione che attraverso i loro scritti e le loro lotte sono sempre nei nostri cuori.

Salutiamo i/le prigionierx anarchici/che nelle prigioni italiane, ai nostri fratelli e sorelle Francisco e Mónica in Spagna e ai compagni arrestati durante la cosiddetta operazione Pandora.

Salutiamo la dignitosa resistenza di Mauricio Hernández nonostante il regime di punizione demenziale cui è sottoposto da 13 anni nelle prigioni brasiliane.

Salutiamo i prigionieri autonomi mapuce e la loro lotta ancestrale per la libera determinazione.

Salutiamo Juan Flores et Nataly Casanova, processati con la macabra legge antiterrorista, della democrazia che tutto  lo permette… A Diego Ríos, arrestato di recente.

Abbracciamo tuttx i/le prigionierx dignitosx in tutte le Gabbie del Pianeta, i/le fuggitivx, i/le nostrx mortx.

Con speciale affetto eterno a Eduardo e Rafael Vergara, a Paulina Aguirre, a Norma Vergara, a Johny Cariqueo, Zoé Aveilla, Lambros Foundas, Mauricio Morales, Sebastián Overluij e Sergio Terenzi…

GIOVENTÙ COMBATTENTE: INSURREZIONE PERMANENTE

FINCHÉ ESISTERÀ MISERIA, CI SARÀ RIBELLIONE

CONTRO TUTTE LE AUTORITÀ GUERRA SOCIALE

SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE E RIVOLUZIONARIA PER LA DEMOLIZIONE DELLE PRIGIONI

-Tamara Farías Vergara
-Alejandro Astorga Valdés
-Carlos Gutierrez Quiduleo
-Juan Aliste Vega
-Freddy Fuentevilla Saa
-Hans Niemeyer Salinas
-Marcelo Villarroel Sepúlveda
-Alfredo Canales Moreno

Uscita del numero 5 di Fenrir

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E’ disponibile il 5° numero di “Fenrir”, pubblicazione cartacea anarchica ecologista di supporto ai/le prigionierx, azione diretta, aggiornamenti e analisi sulle lotte anarchiche e di liberazione animale, umana e della terra in tutto il mondo. 72 pagine formato A4.

In questo numero trovate:

– Editoriale
– Se non ora quando? Azioni dirette antiautoritarie nel mondo
– Ricordando Angry
– Si vede più chiaramente al buio… Chiudere le centrali nucleari, staccare la spina al capitalismo e allo Stato
– Individualità tendenti al selvaggio
– Victor Serge, “L’individualista e la società”
– Sabotaggio amico del popolo?
– Tensione individualista e tensione sociale
– Bruno Filippi, “Il me faut vivre ma vie”
– Collasso
– Lettere dal carcere
– Dopo il carcere. Intervista con Jeffrey “Free” Luers
– Tensione sociale e intervento anarchico in Svezia
– Contorni della lotta contro la costruzione di una maxi-prigione a Bruxelles
– Notizie dal necromondo
– La rivolta degli smartphones
– Aggiornamenti sui/le prigionierx e sulla repressione di Stato
– Letture consigliate

Per ricevere una o più copie scrivici: fenrir@riseup.net

Aiutaci a distribuire “Fenrir”, se hai una distro o vuoi un po’ di copie, contattaci!

Il costo è di 3 euro a copia, oppure di 2 euro per ordini di 5 o più copie.

Grecia: Fine dello sciopero della fame della CCF

Tramite un comunicato del 04.04.15, i membri incarcerat* della Cospirazione delle Cellule di Fuoco hanno annunciato che cessano lo sciopero della fame, considerando che la domanda di liberazione dei loro familiari è stata soddisfata :

Quello di oggi è un giorno che apre una breccia nei muri del mondo carcerario che ci circonda. Dopo 32 giorni di sciopero della fame, la madre di Christos e Gerasimos Tsakalos, come anche la compagna di Gerasimos, varcheranno fra poco la porta della prigione, nuovamente liber*. […]

Questa vittoria non è solamente il risultato dello sciopero della fame della Cospirazione delle Cellule di Fuoco. È la vittoria di tutta la gente solidale che ha spezzato la tranquillità sociale con attacchi incendiari, occupazioni, sabotaggi, cortei, riunioni, interventi improvvisati, e ha trasformato le città in terreni di momenti insorti e i palazzi occupati in laboratori vivi di situazioni sovversive. […]

Oggi smettiamo il nostro sciopero della fame, dopo aver vinto gli spaventapasseri del Potere che volevano che i nostri familiari fossero messi in carcere, PERÒ nello stesso momento lo sciopero della fame degli altri prigionieri politici continua per ottenere le rivendicazioni più ampie che hanno messo sul tavolo. I prossimi giorni sono critici, quanto per la loro salute come per la scommessa della lotta anarchica totale. […]

FORZA E SOLIDARIETÀ con il compagno anarchico Nikos Maziotis, membro di Lotta Rivoluzionaria, e con la Rete dei Combattenti Imprigionati.

VITTORIA DELLA LOTTA DELLO SCIOPERO DELLA FAME


TUTTO CONTINUA

Cospirazione delle Cellule di Fuoco – FAI/FRI
Nucleo in carcere
04.04.2015

Nuova edizione di «Ai ferri corti»

Nuova edizione di «Ai ferri corti»

Pubblicato nel maggio 1998 dalle edizioni NN, create sette mesi prima da alcuni anarchici che avevano partecipato all’esperienza del settimanale Canenero, questo libello nel corso di 17 anni ha fatto il giro del mondo, essendo stato tradotto in spagnolo, portoghese, inglese (con edizioni sia nel Regno Unito, che negli Stati Uniti, che in Australia), francese, olandese, tedesco… Poiché ha alimentato molte riflessioni, fornito spunti, rafforzato inclinazioni, sollevato dubbi, nonché provocato irritazioni (il concetto di «esistente» soprattutto, nella sua prorompente totalità, si è rivelato piuttosto indigesto a chi aspira ad amministrare almeno qualcosa di ciò che è Stato), si può affermare che nel suo piccolo Ai ferri corti abbia dato il proprio contributo alla diffusione di una prospettiva anarchica insurrezionale autonoma. Una prospettiva al tempo stesso irriducibilmente ostile ai «piccoli passi riformatori» e per nulla affascinata da «una rivolta per pochi intimi a suon di fuochi pirotecnici e slogan mal assemblati». Nate dal rifiuto della falsa alternativa riformismo cittadinista o lottarmatismo avanguardista, queste pagine sostengono perciò la necessità e la possibilità immediata di una poesia insurrezionale fatta da tutti, da non confondere né con la triste propaganda politica né con il roboante comunicato rivendicazionista.

Considerata la sua discreta fortuna internazionale stona quindi che Ai ferri corti non sia più stato ristampato laddove è apparso per la prima volta. Eppure, è proprio in Italia che questo testo ha avuto minore risonanza, vittima dei pregiudizi e dei rancori “identitari” nutriti da gran parte del cosiddetto movimento nei confronti dell’ambito in cui è sorto, nonché di un sostanziale disinteresse verso qualsivoglia approfondimento e dibattito critico in merito. Nel 1998 infatti l’ipotesi insurrezionale veniva guardata con una certa commiserazione dai militanti delle varie scuole — tutti vogliosi di un pacifico «esodo» verso una «sfera pubblica non-statale» — i quali nel migliore dei casi la consideravano una fortuna che poteva capitare in un Chiapas esotico e, nel peggiore, un cataclisma che poteva colpire una rozza Albania. Come se l’insurrezione fosse in grado di sollevare la questione sociale solo a distanza di un oceano, e per lo più attraverso organizzazioni autoritarie, costretta invece in Europa a manifestarsi in effimere e spaventose esplosioni di cieco furore. Tralasciando di soffermarsi su ogni possibile distinzione fra insurrezione, moto e sommossa, quanto accaduto in questi ultimi 17 anni ha fatto sì vacillare tale convinzione, ma senza riuscire a smentirla del tutto. Per quanto inebriante nella sua persistenza, il fuoco greco sembra essere una eccezione in mezzo alla norma di «primavere arabe» o «territori liberati curdi» da una parte, e racaille francesi o riot inglesi dall’altra.

Ciò detto, è innegabile che le forti convulsioni di cui è preda l’intero ordine sociale all’inizio di questo terzo millennio abbiano spento il sorriso di sufficienza di molti sovversivi davanti a chi osa evocare qui ed ora l’insurrezione. Gli scettici di ieri si sono trasformati in entusiasti di oggi al punto da farla diventare addirittura un best-seller internazionale sul mercato editoriale, e mediatico, e militante. Il motivo è facile da capire: la pace sociale che ha accompagnato gli anni 80 e 90, nei suoi aspetti più tronfi e compiaciuti, è terminata. Le ricchezze virtuali non sono in grado di compensare le miserie reali, gli scaffali dei supermercati potranno anche scintillare di merci ma il loro consumo non è più accessibile a chi si trova costretto a tirare la cinghia. Ovvero, a quasi tutti. Oggi la servitù volontaria rimane certo maggioritaria, solidamente maggioritaria, ma ha perduto la sua aria di beota innocenza. Il malcontento, il malessere e l’indignazione si diffondono ovunque in maniera inarrestabile, causando preoccupazioni, panico, ma anche qualche speranza di riscossa. Questi sentimenti di frustrazione verranno pacificati in una nuova coesione sociale istituzionale oppure, dinanzi all’implacabile susseguirsi di «scandali politici», «crisi finanziarie», «catastrofi ecologiche», «guerre religiose»… si scateneranno infine in un’ostilità generalizzata?

Ma allora, se l’ipotesi insurrezionale è tornata all’ordine del giorno, perché proprio in Italia Ai ferri corti sembra non aver lasciato traccia e ricordo nemmeno fra gli stessi anarchici?

Ai ferri corti
pag. 48, 2 euro
l’oro del tempo

[oltre le 5 copie, sconto 50%]
Richieste a: lorodeltempo@gmail.com