Italia: La leggenda della valle che non c’è

Versione in italiano del contributo del blog “Anarchici pistoiesi” apparso sul numero 4 di “Avalanche”.

La leggenda della valle che non c’è

Non è semplice sintetizzare in un articolo la questione valsusina ed il ruolo che gli anarchici – alcuni – si sono “ritagliati” al suo interno, la faccenda è molto ampia ed articolata, ci limiteremo quindi a dare la nostra chiave di lettura su certe dinamiche che abbiamo potuto osservare in alcuni anni di permanenza nella famigerata “valle che resiste”. In primis necessita mettere in luce quello che è il modus operandi che i detentori della linea politica di movimento hanno impostato/imposto e che portano avanti, con buona pace degli anarchici/notav.

Partiamo dalla conclusione: in Val di Susa sussistono reali possibilità di rivolta, in essere o in potenza, che possano mirare all’abbattimento delle logiche di dominio quali le conosciamo e con le quali come anarchici confliggiamo quotidianamente? La risposta è no. In Val di Susa lo scenario è quello classico della lotta di cortile che si sostanzia su un territorio certo ampio ma che risente appunto di tutti i limiti dei movimenti «non nel mio giardino». Come abbiamo più volte avuto la possibilità di notare, il movimento valsusino nella sua grande maggioranza non è interessato alle lotte che si svolgono lontano dei suoi confini e se ne trattano lo fanno solo o per strumentalizzazione politica o per una questione di empatia superficiale e tutta “religiosa” che non è quindi interessata a rilevare similitudini e differenze dei conflitti in atto e di trarne un ragionamento generale di critica ed attacco al potere, che infatti non viene rifiutato né messo in discussione ma del quale si chiede sostanzialmente una gestione più “equa”.

Sul piano strettamente locale la cosa si fa ben evidente nei momenti di consultazioni elettorali, sia nazionali, ma in maggior misura – ovviamente – in quelle comunali, quando l’oligarchia di movimento, la stessa che si consulta e stabilisce le linee d’azione in riunioni ristrette prima delle farse decisionali dei cosiddetti “coordinamenti dei comitati” (1), momenti di riunione spacciati per assemblee decisionali orizzontali ma che hanno più il gusto di una comunicazione dei pochi ai molti sulle eventuali azioni da intraprendere, si affanna nella corsa a ricoprire incarichi istituzionali. Inizia così il grande valzer delle oscene alleanze, concupiscenze ed intrallazzi al fine dell’ottenimento del voto, con lo scopo di accrescere la propria popolarità personale e per cercare di conquistare il governo di alcuni comuni interessati dal passaggio dell’Alta Velocità o delle infrastrutture ad essa collegate, per avere la propria briciola di potere ed andarla a far pesare nei colloqui con i supposti nemici dell’organizzazione statale.

Si fa un grande ricorso alla delega, nella gestione ordinaria del movimento (appunto nei coordinamenti dei comitati, quando questi ultimi, ormai ridotti alla stregua di chimera valligiana, vengono rappresentati in tali riunioni da qualche individuo) che in quella straordinaria, come nel caso delle elezioni appunto, quando la possibilità di essere ai vertici amministrativi comunali è ambita, incoraggiata e sostenuta. Durante tali eventi, come anche in altri di maggiore partecipazione di individui che «vengono da fuori» – figure vissute come armi a doppio taglio, ambivalentemente attirate ma anche temute, forse per la libertà d’azione che potrebbero rivendicare e mettere in atto – viene ribadito con orgoglio un concetto fastidioso, quello secondo cui le cose in valle si fanno «a moda nostra», cioè con le nostre modalità, imposte dall’oligarchia e accettate con acquiescenza dalla massa, senza alcuna tolleranza o nel migliore dei casi considerazione di eventuali iniziative di gruppi o individui che escano dal recinto della supervisione valligiana. L’«a moda nostra» rappresenta a tutti gli effetti la linea di demarcazione tra ciò che è possibile o non possibile fare, il quando, il dove, il come e il chi, ed è la dimostrazione di un impianto verticistico ed autoritario che nella retorica movimentizia si dice di rifiutare e combattere ma che nella pratica trova perfetta attuazione.

Val di Susa, la retorica teatralizzante della lotta

Se c’è una cosa che in Val di Susa è stata creata con successo e che ad oggi continua a funzionare piuttosto bene è una retorica di movimento che si palesa in maniera chiara nel momento in cui decide di raccontarsi e di “vendere” il proprio prodotto fuori dai confini piemontesi; la parola “vendere” non è scelta a caso, infatti quello che si può notare passando del tempo in valle e partecipando agli appuntamenti di movimento, è come ogni singolo fatto venga trattato in maniera teatrale e volto a creare immaginario: dal semplice tempo passato davanti ad una rete che diventa una «grande giornata di lotta», ad un tentativo di alcuni di forzare un blocco di polizia in maniera risoluta che diventa un vile attacco violento da parte di quest’ultima nei confronti dei poveri manifestanti lì solo per rivendicare un proprio diritto; ci ritroviamo davanti ad una torsione dei fatti tutta volta a creare un immaginario resistenziale che possa avere appeal da un lato con le anime belle della “società civile”, quindi mai di attacco e sempre di resistenza ad una violenza subita, ma che strizzi anche l’occhio ai rivoltosi sparsi per l’Italia e li invogli a spostarsi in valle dimostrando come l’eroica resistenza valligiana non parli il linguaggio della mera testimonianza o del politicantismo, ma della lotta non mediata alla sopraffazione. Il tutto accettato ed in buona parte rilanciato anche dagli anarchici più addentro alle dinamiche di gestione del movimento.

Non si tratta però solo di una rappresentazione fiorita di quello che accade, ma piuttosto di una creazione di immaginario strumentale a cooptare manovalanza esterna alla valle utilizzando temi e parole d’ordine cari ad esempio all’anarchismo, mostrando una realtà di valle orizzontale, acefala e genericamente “libertaria” che nei fatti non corrisponde alla realtà ma che è utile a convogliare forze sul territorio, manovalanza “specializzata” che può risultare utile nei momenti di conflitto con la forza pubblica e che però come già detto va tenuta bene al guinzaglio, sia per non turbare troppo le popolazioni, sia per non rischiare di sbilanciare gli equilibri interni del movimento; in questo la logica della «grande famiglia» della quale parleremo più avanti si è dimostrata uno strumento perfetto. L’ipocrisia di movimento, l’autorappresentazione spettacolare, l’accettazione delle dinamiche comunicative del potere (mistificazione, ribaltamento di significato e linguaggio, manipolazione dei fatti, ecc…) sono sostanziali del modo di porsi del movimento No Tav, metodologia non condivisa forse dalla totalità dei “movimentisti” che comunque la accettano o come necessità, o per non rischiare di mettere in discussione le posizioni acquisite all’interno del movimento delle “mille anime” – e questo crediamo sia il caso di certi anarchici che fino ad oggi hanno fatto finta di non vedere o hanno minimizzato, o hanno giustificato adducendo ridicole motivazioni.

La creazione della grande famiglia

Il movimento No Tav è figlio anche della società mediaticamente sovraesposta, e come tale ha dovuto crearsi un’immagine sfaccettata quel tanto che basta da risultare appetibile sia ai fruitori dello spettacolo mediatico, sia a coloro che cercano un luogo dove la propria modalità di lotta sia accettata e condivisa. La retorica della grande famiglia in questo è stata lo strumento principe e forse ben studiato per riuscire a marginalizzare quegli elementi che potevano essere poco digeribili agli spettatori del teatro valsusino. Se la presenza di militanti di varia estrazione è stata accettata come necessità strumentale – e per rendersene conto basta parlarne con un qualsiasi “semplice” valligiano – è altresì necessario che le identità specifiche più scomode siano sottaciute o passate in secondo piano, in un’ottica edulcorata volta a presentare il movimento al di fuori degli scenari classici del conflitto. Il marchio è quello della grande famiglia No Tav, siamo tutti No Tav, ecc… In questo scenario la vicenda dei quattro anarchici (diventati poi sette) arrestati per un attacco al cantiere – che i portavoce di movimento, utilizzando le tecniche di cui sopra chiamano «passeggiata notturna» – è esplicativa (2). Il movimento ha sempre parlato dei «suoi ragazzi», dei quattro prigionieri No Tav, omettendo sempre di citarne l’appartenenza “ideologica”, così da rendere più digeribile al pubblico la loro posizione, difficilmente spendibile se identificati come anarchici notoriamente poco “appetibili” ai fruitori dei media di regime; e tutto con buona pace degli altri anarchisti che evidentemente hanno ritenuto utile non agitare troppo quella che un tempo era chiamata «la bandiera dell’ideale», per paura – forse – di perdere l’appoggio mediatico discendente dalle sacre insegne della bandiera trenocrociata.

La «grande famiglia» ha anche un’altra funzione, non è altro infatti che la traslazione del concetto di democrazia utilizzato dalle autorità classiche ma troppo compromesso per essere rivenduto all’interno di un movimento che si palleggia fra l’antipolitica di stampo grillino (3) o da indignados e il sentimento di rivolta di altre comparse sul palco.

La «grande famiglia» è il dogma davanti al quale tutti coloro che hanno deciso di farne parte alzano le mani; così come per la “società civile” l’accusa di antidemocraticità diventa una macchia da lavare dimostrando tutta la propria fedeltà ai dettami democratici, la stessa identica cosa succede all’interno del movimento valsusino dove però la parola democrazia è sostituita con medesimo significato dalle parole – spesso intercambiabili – «grande famiglia» o «movimento popolare», in nome delle quali ogni conflitto generato da questioni sostanziali è ridotto al silenzio. In questo il movimento valsusino è perfettamente reazionario, poiché ha deciso di utilizzare metodi e strutture di creazione del consenso e di gestione della realtà tradizionalmente plasmati ed utilizzati dal potere per annichilire il dissenso e la possibilità che al suo interno si creino reali momenti di conflitto.

In tutto ciò c’è quindi chi ha deciso di non mettere in discussione certe dinamiche e sostanzialmente di avocare all’oggetto collettivo la propria soggettività individuale. L’impianto generale del potere è replicato, ed è bastato solo lavorare un minimo sul linguaggio.

L’investitura popolare diventa così l’obiettivo che sostituisce nella forma ma non nella sostanza il concetto borghese di elezione democratica – cui comunque com’è stato già detto è ricorsa appena possibile – e poco cambia fra il «siamo democraticamente eletti» dei politici e «le popolazioni valligiane sono con noi» dei gestori di movimento; il consenso nudo e crudo è ciò che viene ricercato, nulla di più, ed in ciò il linguaggio grossolanamente popolar/sentimentale di alcuni epigoni del movimento (anche anarchici) la dice lunga sulla verosimiglianza di queste affermazioni.

La gestione del linguaggio e la manipolazione dei fatti sono poi evidenti nel modo in cui sono affrontate le questioni legate alla delazione (4). Il movimento No Tav ha in pratica deciso di non prendere posizione bollando come «lotta fra parrocchie» la vicenda, spostando l’attenzione ed il fulcro della faccenda non sulla questione di sostanza, la delazione e tutto ciò che ne consegue, ma sui contendenti specifici, svuotando di significato un atto gravissimo come la confidenza che viene ridotta a scaramuccia fra bande. Dopo circa un mese dai sabotaggi di Firenze e Bologna (5), l’appello del movimento, gridato forte ed in perfetto stile autoritario, volto ad arrestare anche ogni minimo spunto di pensiero critico individuale, è stato quello di far sì che lo spettacolo movimentizio continuasse, che si continuasse uniti nella lotta, a tutti i costi, e di farla finita una volta per tutte con quelle che sono state archiviate alla bell’e meglio come “polemiche”. In questo gli anarchici “famigli” hanno deciso in buona parte di non turbare gli equilibri all’interno del ventre caldo del movimento popolare, o ignorando la questione, o bollandola anch’essi – utilizzando un linguaggio al limite del pretesco – come “scaramuccia”, magari figlia del mezzo utilizzato (internet) e degli animi esasperati, oppure spostando l’attenzione sulla – a detta loro – vera questione, ovvero i passi indietro del movimento rispetto alla pratica del sabotaggio. Atteggiamenti questi del tutto in linea con la tendenza di parte dell’anarchismo italiano odierno che tende sempre più a minimizzare questioni di sostanza come la delazione, la presenza negli spazi di infami o infiltrati in nome di un «volemose bbene» figlio della convenienza politica, in una logica utilitaristica che dà sinceramente il voltastomaco. Continue reading Italia: La leggenda della valle che non c’è

Il processo a Billy, Silvia e Costa si avvicina: rilanciamo la lotta alle nocività

TOWSono passati quasi cinque anni dal nostro arresto in Svizzera, quando ad un posto di blocco sul passo dell’Albis, nel Canton Zurigo, venne rinvenuto nell’auto su cui viaggiavamo dell’esplosivo, alcune bombole di gas propano, taniche di benzina e diverse copie di uno scritto rivendicativo a firma Earth Liberation Front Switzerland. Obiettivo dell’attacco rivendicato negli scritti era il “Binning and Rohrer Nanotechology Center”, una struttura allora in costruzione, di proprietà dell’ IBM e in collaborazione con l’ETH, il Politecnico federale di Zurigo.

Il processo si tenne un anno e mezzo dopo il nostro arresto con tre accuse a nostro carico: atti preparatori punibili di incendio intenzionale; occultamento e trasporto di materie esplosive; commercio non autorizzato (importazione) di esplosivi. Le richieste di pena formulate dal procuratore federale Hansjörg Stadler, tra i 3 anni e 4 mesi e i 3 anni e 8 mesi vennero ampiamente accolte dal giudice federale Walter Wütrich, la quale corte confermò tutti i capi d’accusa ad eccezione del traffico (importazione) illecito di esplosivi, accusa dalla quale fummo assolti.

Parallelamente, la procura di Torino aveva da subito dato avvio ad un’indagine a tutto tondo intorno alle cartucce di esplosivo che gli svizzeri ci trovarono addosso, con l’obbiettivo di poterne determinare la provenienza. Ad indagine conclusa, le accuse a nostro carico ipotizzate dal pm Enrico Arnaldi Di Balme, sono pure tre: atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi, detenzione e trasporto in luogo pubblico di esplosivi e ricettazione per l’esplosivo, accuse tutte aggravate dalla finalità di terrorismo.

In questi 5 anni passati, la nostra analisi del presente ha solo continuato a confermarsi e, conseguentemente, il nostro sentire anarchico ed ecologista non ha potuto che rafforzarsi. Le nano – biotecnologie sono gli ultimi sentieri battuti dalla corsa del sistema capitalista tecno-industriale al saccheggio e alla devastazione della Terra. Sentieri che, come tutti quelli precedenti (si pensi all’era dell’industrializzazione), presentano come miracoli cio’ che, possiamo facilmente immaginare, in futuro è destinato a trasformarsi in incubo.

Tecnologie che nascono dal cambio di visione del mondo che l’era informatica ha portato con se, soppiantando la visione meccanicista delle leve e degli ingranaggi con una visione matematica fatta di bits d’informazione in cui la realta’ tutta deve poter rientrare in un logaritmo. Una visione nuova che si e’ affermata perche’ meglio risponde alle esigenze del sistema. Affermandosi, ha schiuso alla scienza delle possibilità fino ad ora pressoche’ inimmaginabili per adempiere a quel compito che i tempi e l’autofagia del sistema le richiedono con sempre piu’ impellenza: riuscire ad appropiarsi di ogni cosa nell’universo per scomporla nei suoi piu piccoli, infinitesimali componenti, nei suoi “bits”. Ovvero, arrivare ad ottenere una qualche unità di base universale, attraverso la quale gli scienziati possano ridurre tutto l’esistente ad un grado sufficiente d’interscambiabilita’ ed equivalenza, affinchè in seguito, con l’ingegnerizzazione di questa nuova (perche prima inaccessibile) materia prima, ogni cosa di questo universo diventi fruibile alle necessità del dominio. Queste tecnologie sono dunque per il sistema un pilastro su cui rifondare i processi produttivi e di approvigionamento, fondamentali per la sua crescita. Una crescita che si vorrebbe senza fine in un pianeta saccheggiato già oltre ogni limite delle sue possibilità. E la convergenza delle scienze, cosi come con gli OGM, è l’ultima delle promesse di uno sviluppo che avrebbe dovuto risolvere la crisi ecologica a cui ci ha portati lo stesso progresso ecocida.

Come già detto in un precedente scritto, il “Binning and Rohrer Nanotechology Center” è stato reso operativo ed inaugurato pochi mesi prima del nostro processo in Svizzera. Da quasi tre anni a questa parte offre 950m2 di superficie alla collaborazione per la ricerca di base su nuovi materiali ed elementi di costruzione in scala nanometrica. Un luogo di ricerca che permetterà ai ricercatori, tanto di IBM che dell’ETH e di altri partner, di spingere la conoscenza, ma sopprattutto le possibilità di applicazione delle nanotecnologie, ben oltre, ma molto ben oltre, l’attuale impiego raggiunto tra cosmetici, pneumatici o spray nanotech. Cosi assicura il direttore della struttura, Matthias Kaiserswerth. Per noi, per quanto quelli di IBM o dell’ ETH si vantino di avere tra le mani un laboratorio unico al mondo – e per certi aspetti hanno pure ragione – la realtà è che i luoghi dentro cui si sta spingendo l’ingegnerizzazione e la manipolazione del vivente e del pianeta sono molti e, soprattutto, sono un po’ ovunque. Dai centri di ricerca delle multinazionali alle università, dai poli scientifici alle istituzioni di ricerca sovranazionali, un mondo che si muove in parallelo alla realtà che viviamo, e che sulla nostra testa progetta e costruisce il futuro che ci verrà imposto e i cui lineamenti già li abbiamo sotto gli occhi. Un mondo che ha un nome e un indirizzo.

Negli anni abbiamo sempre più sentito l’urgenza di provare a costruire lotte contro questo sviluppo, partendo proprio dalla comprensione della sua imprescindibilità per il sistema, oltre che per la nocività che gli sviluppi bio e nanotecnologici rappresentano. Nocività, e conviene chiarirlo, non in quanto danno alla salute umana, problema ambientale, ma in quanto rapporto tra potere e tecnologia che si traduce in rimodellamentosostituzionedistruzione degli ecosistemi e del vivente. Un concetto di nocività ben più ampio e che si ricollega a filo diretto all’unica vera nocività rappresentata dal sistema stesso. Un’urgenza che continuiamo a sentire e per cui, davanti a questo salto in avanti che il sistema tecnologico ed industriale sta compiendo, rimaniamo convinti di come questa si debba tradurre in una critica necessariamente radicale e che non possa prescindere dal contesto sociale e economico, di cui queste nocività sono il prodotto e per cui sono necessarie. Critica che a sua volta sappia trasformare i fiumi d’inchiostro e le parole, necessarie per esprimerla e svilupparla, in lotta e azione diretta. Rimaniamo dunque ancora convinti/e della necessità di sviluppare lotte ecologiste radicali per contrastare questo sviluppo tecno-industriale mortifero, tracciando però come linea chiara quella di vedere nella lotta unicamente una reale possibilità per rimettere tutto in discussione, e non uno spazio in cui provare a ritagliarsi la propria parte nel teatrino politico o  per offrire alternative “eco-sostenibili” al sistema.

Quello che vediamo è come i luoghi del potere tecno-scientifico si stiano decentralizzando e molecolarizzando in una costellazione di interessi e progetti ultra specifici, nonostante poi tra loro siano sempre e necessariamente interconnessi. Intervenire e colpire là dove più nuoce è sempre meno evidente e facile da capire. Una continua fonte d’ispirazione in questo senso è rappresentata da chi, in tutto il mondo, continua a sentire l’urgenza della lotta, portando avanti progetti, campagne, mobilitazioni e lotte in difesa di quanto ci si sente parte, e di sabotaggio e attacco distruttivo contro quegli ingranaggi che compongono il sistema industriale tecno-scientifico, patriarcale e capitalista.

Mettersi in gioco attraverso la lotta, sappiamo bene che probabilmente, presto o tardi, significa dovere fare i conti con la repressione e da questo non si sfugge. Quello da cui pero’ si puo’ e anzi si deve sfuggire, è lasciare soli/e coloro che sono colpiti/e dalla repressione. Il sostegno ai/alle prigionieri/e e’ qualcosa a cui non si puo’ prescindere, e oltre alla solidarieta’ e supporto piu’ immediato, altrettanto importante e fondamentale e’ il dare seguito alle lotte per cui compagni/e stanno pagando.

Nel nostro caso, trovandoci fuori da quelle mura, abbiamo davvero apprezzato le energie di tanti/e che attraverso serate e iniziative negli ultimi mesi, oltre al calore del supporto piu’ immediato e necessario, hanno dato spazio al nostro caso ma, sopprattutto, alle tematiche su cui ci preme un confronto e il trasmettere il nostro sentire. Questo per noi rimane fondamentale.

Il 23 aprile e’ la data in cui e’ stata fissata l’udienza preliminare, dove si deciderà se verrà fatto o meno questo processo “déjà vu”. Da parte nostra, quello che sentiamo, non e’ tanto un interesse a richiamare l’attenzione sul nostro caso specifico, sul processo nei nostri confronti, quanto più la voglia di riuscire a trasformare questo momento in un’occasione, anche di mobilitazione, per rilanciare queste tematiche e il sentire che ci accomuna.

Mettere al centro non la repressione, ma l’agire senza delegare ad altri/e contro le bio e le nanotecnologie, contro il nucleare, contro ogni altra nocivita’ di questo sistema mortifero e in sostanza: contro questo presente di annientamento e devastazione.

Per la liberazione della Terra. Per la liberazione animale.
Billy, Costa, Silvia, Febbraio 2015

In vista del processo ci troviamo a sostenere numerose spese legali, chiediamo a tutte e  tutti supporto con iniziative benefit e donazioni al conto corrente postale intestato a Marta Cattaneo codice IBAN: IT11A0760111100001022596116, specificare la causale: solidarietà a Silvia Billy Costa
Per contatti: info@resistenzealnanomondo.org
www.resistenzealnanomondo.org, www. silviabillycostaliberi.noblogs.org

Padova: Giornata contro le nocività

21febbraio
Le nocività costituiscono l’asse portante su cui il sistema tecnologico-industriale si regge. E’ possibile opporsi ad esse a partire da una prospettiva ecologista radicale, mettendo in discussione il progresso tecnologico, la civilizzazione ed il dominio degli umani sul selvatico ?

Sabato 21 febbraio

ore 15.30 : dibattito con alcuni compagni impegnati nelle lotte contro il gasdotto TAP in salento, l’alta velocità in val di susa e le discariche di chiaiano e pianura (na)
a seguire cena vegan benefit
dalle ore 22 : serata dub con mickey white dub selecta (from blank mamba sound) / dj-set malacrew (radical dub against autorithy)

Il ricavato della serata andrà a sostenere Francesco e Daniele, anarchici ancora in carcere per l’operazione ardesia.

L’incontro si terrà presso la mensa marzolo occupata
via marzolo, 4 – Padova (q.re Portello)
malacoda@distruzione.org

RAZZISTI, SESSISTI, OMOFOBI, SPECISTI RAUS !

L’Urlo della Terra: Nuovo giornale ecologista radicale

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In questo numero:
L’ecologismo radicale e il selvatico   
Le conseguenze sociali e politiche dell’esposizione e dell’uso dei social network   
Memorie dal futuro: la singolarità tecnologica che viene   
Hambach la foresta che resiste: intervista      
Un’altra campagna è possibile…    
Attacco alla Bayer   
Repressione di stato: autorepressione di Nicole Vosper

Editoriale:
In tempi di social network, di relazioni frettolose e più in generale dove il senso delle cose sfuma in una moltitudine quantitativa, rilanciare con un giornale cartaceo può sembrare perlomeno fuori luogo o fuori tempo, secondo quale è lo spazio da dove facciamo partire il nostro sguardo.
Questo strumento non ha alcuna pretesa di essere la soluzione di una qualche mancanza, definita o indefinita, di un preteso movimento o contesto. Sicuramente non ci interessa riempire quel calderone dell’informazione alternativa, che per sua stessa costituzione non  può mai riempirsi per lo sconcerto dei suoi maggiori promotori. Intendiamoci, la controinformazione ha la sua importanza, ma pensiamo che questa non deve rimanere mera informazione e deve essere capita nei contesti dove va ad operare per poter essere successivamente agita nel vivo delle lotte. La consapevolezza critica non è da confondere con l’accumulo di informazioni. Nel pieno dell’informazione mai ci si è ritrovati così poco informati e spaesati come di questi tempi, dove la vecchia cassetta degli attrezzi non contiene strumenti utili e precisi, ma un calderone di attrezzi per tutti gli usi, anche quelli che non conosciamo. Dobbiamo ancora capire qual’è la relazione possibile tra ogni singolo strumento e quel determinato problema che ci troviamo ad affrontare.

Per affrontare i problemi che  di fronte a noi non vanno certo a diminuire, ma semmai si moltiplicano e convergono tra loro lasciandoci sempre indietro, di strumenti ne servono, non se ne può fare a meno se si vuole mettere insieme una progettualità, seppur limitata e circoscritta al momento. I tempi corrono con tutte le possibili esperienze che si possono fare e incontrare: tutti questi momenti e situazioni sono li a dimostrarlo, dotarsi di un progetto, che non è da confondere con le strategie, si rende fondamentale se si vuole essere per questo sistema qualcosa di più di un semplice fastidio occasionale.

L’urlo della Terra si fa sempre più lacerante, tanto che ormai sembra diventata l’abitudine. Questo urlo però non parla soltanto di un pianeta che muore sempre di più sotto i colpi della  civilizzazione, che si degrada e si impoverisce anche di senso insieme ai suoi abitanti animali e non. C’è anche una Terra che si ribella, che lotta e resiste nonostante tutta questa situazione. Di fatto quello che fa la differenza, che è immediatamente comprensibile senza tanti sofismi, è il non essere complici di quella distruzione e degradazione del vivente che è stata portata avanti fino adesso e di quella che verrà, che è decisamente più tenace e soprattutto irreversibile nelle sue conseguenze ultime.

La non collaborazione con questo sistema di morte non è abbastanza: la disobbedienza è di fatto tollerata perché recuperata o recuperabile, al contrario invece della conflittualità permanente, quella insuscettibile di ravvedimento che non trova soluzione ai problemi sedendosi allo stesso tavolo con chi sfrutta e bombarda nella nuova veste democratica.

Il nuovo tecno-totalitarismo non è solo quello dell’imposizione, ma soprattutto quello della partecipazione, della coesistenza: si è chiamati tutti e tutte a collaborare su base volontaria al proprio sfruttamento, perché un’altra possibilità non esiste. Di fatto l’alternativa è già inclusa nell’unico pacchetto che può contenere una centrale atomica insieme ad una centrale eolica che si fanno un’ottima compagnia in un bel prato verde. La de-responsabilizzazione si è diffusa largamente in ogni parte interessata, fino ad insinuarsi anche nelle nostre teste: la crisi ecologica e sociale non è causa nostra e neanche del sistema. Da una parte c’è chi con la crisi ne ha fatto il nuovo business, dall’altra c’è chi subisce tutte le conseguenze di un sistema al collasso che fa pagare a vite ed ecosistemi il proprio sfacelo. Niente si salva dalla megamacchina che tutto trita sotto il proprio sostentamento. Come quegli animali resi meri corpi che il dominio ha destinato a un’infinita catena di riproduzione e morte.

Affronteremo delle questioni che ci stanno particolarmente a cuore e che consideriamo della massima importanza come gli sviluppi, le diramazioni e convergenze delle tecno-scienze, la crisi ecologica e con essa la degradazione del vivente. Tratteremo le questioni da vari aspetti e vari sguardi per permettere di costruire un pensiero ed una critica radicale che possa essere una traccia per capire quello che sta avvenendo e soprattutto che non avviene nelle lotte.

Non pubblicheremo di tutto, cosa per altro poi abbastanza improbabile considerando l’esistenza di siti internet e bollettini che già svolgono l’importante lavoro della controinformazione. Punteremo su singoli aspetti:  uno scritto, un’azione che a nostro avviso possa essere utile per capire, per portare dei dubbi e degli interrogativi. Saranno infatti dubbi e interrogativi la nostra prerogativa e non le solite risposte facili e buone solo per fare degli slogan.

L’Urlo della Terra vuole essere una voce di quella resistenza che dura da generazioni e che unisce in un unico filo un Penan del Borneo a chi difende le ultime foreste in Europa, una contadina indiana che protegge la biodiversità dai semi terminator ad un falciatore di campi ogm di una moderna stazione sperimentale in Inghilterra…

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Intestato a Marta Cattaneo, specificare la causale L’urlo della Terra

Buenos Aires : Striscione di solidarietà con Tamara Sol Farías Vergara

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La nostra bellezza sta nella vendetta. Sol Vergara libera!

Oggi (2 febbraio), nelle prime ore del mattino, uno striscione è stato appeso sul ponte pedonale  in Avenida Figueroa Alcorta, a pochi metri dall’ambasciata cilena in solidarietà con la compagna Sol Vergara in attesa di giudizio in una prigione di questa regione.  Un piccolo gesto che cerca di promuovere la solidarietà  e trasmettere forza a Sole e ai suoi compagni.
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Nota di Contra Info : La compagna è stata condannata a 7 anni e 61 giorni di carcere.