Carcere di Spoleto: Lettera del prigioniero in lotta Maurizio Alfieri

La lettera che pubblichiamo e che chiediamo di diffondere il più possibile (siti, radio di movimento, situazioni di lotta ecc.) è un coraggioso atto di accusa contro il carcere di Terni e contro tutta l’amministrazione penitenziaria. Non ci facciamo certo illusioni su di un’inchiesta da parte della magistratura, ma non possiamo lasciare solo Maurizio, uomo retto che non ha mai avuto paura di esporsi. Il DAP e i carcerieri devono sapere che a fianco di Maurizio ci siamo tutti/e noi ad urlare che sono degli assassini.

Una coraggiosa denuncia da parte di Maurizio Alfieri

Carissimi/e compagni/e

Prima di tutto vi devo dire una cosa che mi sono tenuto dentro e mi faceva male… ma la colpa non è solo mia e poi potete capire e commentare la situazione in cui mi sono trovato e che ora rendiamo pubblica.

L’anno scorso mentre a Terni ero sottoposto al 14 bis arrivarono due ragazzi, li sentivo urlare che volevano essere trasferiti perché le guardie avevano ammazzato un loro amico… così mi faccio raccontare tutto, e loro mi dicono che un loro amico di 31 anni era stato picchiato perché lo avevano trovato che stava passando un orologio (da 5 euro) dalla finestra con una cordicina, così lo chiamarono sotto e lo picchiarono dicendogli che lo toglievano anche dal lavoro (era il barbiere), lui minacciò che se lo avessero chiuso si sarebbe impiccato, così dopo le botte lo mandarono in sezione, lui cercò di impiccarsi ma i detenuti lo salvarono tagliando il lenzuolo, così quei bastardi lo chiamarono ancora sotto e lo presero a schiaffi dicendogli che se non si impiccava lo uccidevano loro. Così quel povero ragazzo è salito, ha preparato un’altra corda, i suoi amici se ne sono accorti ed hanno avvisato la guardia, ma nel frattempo era salito l’ispettore perché era orario di chiusura, l’agente iniziò a chiudere le celle, ne mancavano solo tre da chiudere, tra cui quella del povero ragazzo, i due testimoni gridano all’ispettore che il ragazzo si sta impiccando e per tutta risposta ricevono minacce di rapporto perché si rifiutavano di rientrare in cella, finché dalla paura anche loro sono rientrati dopo aver visto che il loro amico romeno si era lasciato andare dallo sgabello con la corda al collo, e quei bastardi hanno chiuso a tutti tornando dopo un’ora con il dottore che ne costatava la morte e facendo le fotografie al morto…

Quei ragazzi mi hanno scritto la testimonianza quando sono scesi in isolamento, poi li chiamò il comandante Fabio Gallo e gli disse che se non dicevano niente li avrebbe trasferiti dove volevano… quei ragazzi vennero da me piangendo, implorandomi di non denunciare la cosa e di ridargli ciò che avevano scritto, io in un primo tempo non volevo, mi arrivò una perquisizione in cella alla ricerca della testimonianza ma non la trovarono, loro il giorno dopo furono trasferiti, poi mi scrissero che se pubblicavo la cosa li avrebbero uccisi, io confermai che potevano fidarsi. I fatti risalgono a luglio 2013, ai due ragazzi mancava un anno per cui ora saranno fuori. La testimonianza è al sicuro fuori di qui, assieme ad un’altra su un pestaggio di un detenuto che ho difeso e dice delle cose molto belle su di me. Ecco perché da Terni mi hanno trasferito subito!

Ora possiamo fare aprire un’inchiesta e a voi spetta una mobilitazione fuori per supportarmi perché adesso cercheranno di farla pagare a me, ma io non ho paura di loro.

Perdonatemi se sono stato zitto tutto questo tempo ma lo ho fatto per quei due ragazzi che erano terrorizzati… ora ci vuole un’inchiesta per far interrogare tutti i ragazzi che erano in sezione, serve un presidio sotto al DAP a Roma così a me non possono farmi niente.

Non possiamo lasciar impunita questa istigazione al suicidio… devono pagarla.

Ora mi sento a posto con la coscienza, sono stato male a pensare alla mamma di quel povero ragazzo che lavorava e mandava 80 euro alla sua famiglia per mangiare, quei due ragazzi erano terrorizzati, non ho voluto fare niente finché non uscissero, adesso per dare giustizia iniziamo noi a mobilitarci… sono sicuro che voi capirete perché sono stato zitto fino ad ora.

Un abbraccio con ogni bene e tanto amore.

Carcere di Spoleto, 20 settembre 2014

Maurizio Alfieri (a-cerchiata)

[Italia] Gratis Edizioni – Nuovo titolo, nuovo sito

Bruno Filippi
Ho sognato un mondo in fiamme roteante nell’infinito

È la sera di domenica 7 settembre 1919. La Galleria Vittorio Emanuele II, a Milano. Qui le ricchezze solidificate in pietra grigia, il privilegio celebrato dalle volte monumentali, accolgono l’alta borghesia meneghina giunta a riposarsi e a digerire il lavoro settimanale – sfruttare i poveri – ai tavolini di esclusivi caffè. È la stessa borghesia che pochi anni prima ha fatto affari con la Grande Guerra, la stessa borghesia che solo sei mesi prima in quella città ha tenuto a battesimo il fascismo per difendersi dalla minaccia sovversiva sollevata e trasportata dalla rivoluzione russa. All’improvviso, in quella serata di fine estate, un’esplosione squarcia l’aria e semina il panico fra i presenti. Una bomba, destinata forse al ristorante Biffi o forse al Club dei Nobili, è esplosa in anticipo sui tempi. Unica vittima, l’attentatore. Il suo nome è Bruno Filippi, ed ha solo 19 anni. Ma per il suo focoso antimilitarismo, ha già conosciuto la galera. Per le sue speranze in una catastrofe palingenica, ha già combattuto nelle trincee. Per la sua impazienza rivoluzionaria, si è già scontrato con i riformatori di sinistra. Anarchico individualista, da un lato non ama le folle che si lamentano ed implorano un paradiso nel futuro, dall’altro odia le cricche che comandano ed opprimono nell’inferno del presente. Fra le prime diffonderà i suoi scritti iconoclasti, alle seconde scaglierà la sua dinamite e il suo vetriolo.

*

Il punto di partenza per questo libro è stato ovviamente la raccolta di articoli di Bruno Filippi edita nel 1920 a cura dell’Iconoclasta! — il periodico di Pistoia cui collaborava — e ristampata a Firenze nel 1950. Tuttavia, andando a sfogliare le annate di quel giornale, ci siamo accorti che alcuni dei suoi testi là pubblicati erano rimasti esclusi. Inoltre la sua firma anche su Cronaca Libertaria ci ha fatto sorgere il dubbio che egli avesse potuto scrivere pure su altri periodici anarchici dell’epoca. Abbiamo così allargato la nostra ricerca anche a Il Libertario di La Spezia e L’Avvenire Anarchico di Pisa, trovando in effetti qualcosa. Da questi stessi giornali abbiamo tratto anche alcuni testi comparsi dopo la sua morte. Non sappiamo se siano presenti altri suoi scritti qua e là nelle pubblicazioni libertarie di quel periodo, magari sotto pseudonimo. Abbiamo deciso di iniziare questa antologia con due articoli relativi il suo primo processo, quello del 1915; il primo apparve all’epoca dei fatti, il secondo fu pubblicato postumo, in una sorta di omaggio. Abbiamo poi ripreso alcune delle sue lettere scritte alla famiglia, già apparse nella sua vecchia raccolta, tralasciando solo quelle più personali e strettamente familiari. Dopo i suoi articoli, disposti in ordine cronologico in base all’anno in cui videro la luce, questo libro si conclude con un’ampia selezione di testi commemorativi.

Il libro sarà disponibile da metà novembre. Per richiesta di copie, scrivere a trrivio@gmail.com oppure a grotesk@libero.it

Gratisedizioni.org A questo indirizzo troverete il nostro nuovo sito (oltre al nuovo catalogo), aggiornato. Ma, soprattutto, arricchito. Abbiamo pensato infatti di realizzare un sito che non fosse solo il riflesso telematico della carta stampata, ma anche un prolungamento. Laddove possibile, le pagine di presentazione dei vari titoli conterranno una appendice (testi inediti, recensioni, introduzioni straniere…) che potrà aumentare col tempo. Pur nella sua virtualità speriamo di rendere questo sito una specie di miniera, piena di anfratti, gallerie, cunicoli, da perlustrare ed esplorare alla ricerca di qualche filone prezioso. Gratisedizioni.org non si rivolge quindi esclusivamente ai “navigatori” eventualmente interessati a procurarsi qualche nostro titolo. Anche chi è già un nostro lettore avrà ora buoni motivi per perdersi al suo interno.

Francia: Un manifestante ucciso al Testet

Un compagno ucciso al Testet

Chiamata a manifestare contro la violenza di Stato – a Nantes e ovunque

Presidio sto lunedì alle 18.00 di fronte alla prefecture di Nantes.
Appuntamento dalle 15.00 place du Bouffay per preparare e informare

Nella notte tra sabato e domenica, un manifestante, Rémi, è stato ucciso negli scontri che hanno avuto corso durante il presidio contro la costruzione della diga di Sivens, al Testet. Più o meno 7000 persone si sono ritrovate sulla Zad del Testet dopo mesi di attacchi da parte della polizia, di distruzione della zone umeda e delle abitazioni di chi la difende. Nella fine del pomeriggio, e poi più tardi nella notte, decine di persone si sono svolte contro le forze del ordine che proteggevano il cantiere. Volevano esprimere così la loro rabbia e ritardare la ripresa dei lavori, che era inizialmente prevista questo stesso lunedì. Sono state respinte col uso di palle di gomma, di granate assordanti, a frammentazione e di gas lacrimogeni. Secondo i racconti dei compagni del Testet, la persona deceduta sarebbe crollata dopo spari di granate e sarebbe stata portata via dalle forze del ordine. La Prefecture (questura) dice di non voler’ dichiarare niente sul fatto prima dei risultati dell’autopsia di lunedì. Il governo ha già cominciato ad infamare i manifestanti e prova a dividerli per fare dimenticare quello accaduto. Ma sanno benissimo, qualsiasi sia il loro prossimo passo, che questa morte avrà consequenze esplosive.

Purtroppo, questa morte rivoltante non ci sorprende dentro quel contesto. A Notre dames des landes, al Testet e dovunque sia, quando ci siamo oppost* ai loro proggetti, abbiamo dovuto confrontarci allo sviluppo crudo della violenza di Stato. Nonostante abbiamo benissimo capito, per quanto ci riguarda, che non potevamo contentarci di docilmente guardarli distruggere le nostre vite, essi hanno dimostrato che non ci faranno nessun regalo. Durante i mesi di sgombero della ZAD di NDDL, molt* compagn* sono stat* ferit* pesantemente dagli spari di palle di gomma e dalle granate. Nella sola manifestazione del 22 febbraio 2014 a Nantes, 3 persone hanno perso un occhio da questi spari. Da settimane, ormai, anche al Testet più persone sono state ferite, e ci voleva poco perche altri incidenti tragici succedassero quando gli opponenti sono stati sgomberati dalle case costruite sugli arberi.

E’ però pure per questa ragione, tra altre, che migliaia di persone si sono opposte fisicamente ai lavori, agli sgomberi, all’occupazione poliziesca dei luoghi di vita loro, che il proggetto di areoporto di Notre Dame des Landes si trova oggi moribondo, e che la diga del Testet e quelle che dovrebbero seguirla sono rimesse in questione. E quel impegno negli atti che ha permesso dare una potenza contagiosa a queste lotte, e che minaccia ormai ovunque la ristrutturazione mercantile del territorio.

Più quotidianamente, la repressione si esercita contro quell* che lottano nei carceri, nei quartieri e nei CIE, e là ancora trascina il suo peso di morti, troppo spesso dimenticate, più decine ogni anno. Di fronte agli sollevamenti e altre insottomissioni, la democrazia liberale mostra che rimane al suo posto grazie non solo alla domesticazione precisa degli individui e degli spazi di vita, o alle dominazioni economiche e sociali, però anche grazie al uso determinato del terrore.

Chiamiamo all’occupazione delle strade e dei luoghi di potere, per marcare la nostre tristezza, salutare la memoria del compagno ucciso sabato, e per esprimere la nostra rabbia contro la violenza di Stato. Non li lasceremo ammazarci con le loro armi cosidette “non letali”. Dobbiamo reagire con forza per fare in modo che abbia un prima e un dopo questa morte. Affirmare più forte che mai la nostra solidarietà verso tutt* quell* che lottano al Testet e altrove contro i loro proggetti guidati dalle logiche di controllo e di profitto, ma anche con quell* che cadono con meno rumore sotto i colpi della repressione, dovunque sia. Non ci lasceremo ne dividere, ne paralizzare dalla paura. Continueremo a vivere e lottare sugli spazi che sognano annichilare, ed a bloccare la strada.

Non lasceremo tornare il silenzio, non dimenticheremo!

Occupant* della ZAD di Notre dame des Landes

Un altro corteo si prepara per il sabato alle 14.00

Per maggiori informazioni: zad.nadir.org & nantes.indymedia.org

[Svizzera/Italia] Breve aggiornamento sul caso di Costa, Silvia e Billy

L’Italia incrimina Silvia Costa Billy una seconda volta per i fatti svizzeri

In un precedente comunicato di aggiornamento avevamo scritto della definitiva chiusura del nostro caso in Svizzera dove la rincorsa ai ricorsi sulle macchinazioni da parte dei vari apparati di sicurezza statali italiani e confederati elvetici non avevano portato a nulla, se non che in tema di repressione la collaborazione poliziesca è sempre forte, soprattutto se i soggetti di interesse sono degli oppositori alla loro democrazia di oppressione.

Fin dal momento del nostro arresto in Svizzera con l’accusa di voler attaccare con esplosivo il nuovo centro di ricerche, allora in costruzione, di IBM e del Politecnico di Zurigo fiore all’occhiello per la ricerca nanotecnologica a livello mondiale, l’Italia ha fatto partire un’inchiesta in stretta collaborazione con la polizia elvetica volta a dimostrare l’esistenza di un’organizzazione sovversiva con finalità di terrorismo sul suolo italiano e ramificata anche in Svizzera.

Di fatto, con copione già noto, questo ha portato negli anni della nostra carcerazione ad una intensa attività spionistica in primis contro la rete di solidali che nel mentre si era creata e poi verso gli ambienti ecologisti radicali più attivi nelle varie battaglie fuori per seguire il nostro caso e per far uscire questioni come quella delle nanotecnologie che si sarebbero volute silenziate o ridotte ad un’unica voce, meglio se quella dei suoi promotori.

La Procura di Torino non contenta a quanto pare dell’esito svizzero che ci ha visto condannati per il fatto specifico e assolti per l’importazione di materiale esplodente e non contenta di non aver trovato alcuna organizzazione in Italia e neanche altrove, ha recentemente chiuso l’indagine tutta concentrata al 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo) e ha chiesto invece il rinvio a giudizio per tutti e tre con le seguenti accuse: “art.110, 280 c.p. … perchè in concorso tra loro, a nome dell’ELF-Earth Liberation Front, movimento ispirato all’ecologismo radicale, per finalità di terrorismo, compivano atti diretti a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali”, art.110, 81,61 c.p. … perché in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso… illegalmente detenevano e portavano in luogo pubblico, trasferendo dalla Valchiusella a Bergamo e quindi in Svizzera il seguente materiale esplosivo atto all’impiego… art.110, 648 c.p. … perché in concorso tra loro… conoscendone la provenienza delittuosa, ricevevano da soggetti rimasti ignoti il materiale per ordigni esplosivi… prevento di sottrazione illecita ai danni di una delle imprese rimasta non identificata che, autorizzata all’utilizzo di esplosivi.” Tutte le accuse contengono l’aggravante della finalità di terrorismo.

Come parte civile offesa avremo pensato di trovarci di fronte i tecno-nazi di IBM e invece la Svizzera si presenta con la sua eccellenza nella ricerca: l’Istituto Politecnico di Zurigo da sempre impegnato in ricerche nocive di cui le nanotecnologie sono solo la punta dell’iceberg.

In attesa che venga fissata a breve l’udienza preliminare che ci vede passare dalla posizione di indagati a quella di imputati ribadiamo la necessità di mobilitarci e costruire un’opposizione a queste frontiere delle tecno scienze che usano il mondo come l’allargamento del loro laboratorio.

In vista del processo ci troviamo a sostenere numerose spese legali, chiediamo a tutte e tutti supporto con iniziative benefit e donazioni al conto corrente postale intestato a Marta Cattaneo codice Iban: IT11A0760111100001022596116, specificare la causale: solidarietà a Silvia Billy Costa

Per contatti: info@resistenzealnanomondo.org
resistenzealnanomondo.org, silviabillycostaliberi.noblogs.org

Grecia: Sull’arresto del compagno Antonis Stamboulos

Mercoledì 1° ottobre a Vyronas, quartiere di Atene, è stato arrestato il compagno anarchico Antonis Stamboulos. La polizia ha fatto irruzione in un garage – a loro dire un covo – e poi a casa dei suoi genitori a Maroussi, sua sorella a Thissio e in una casa a Kypseli affittata con un altro nome. In tutte le case non hanno trovato niente. Dicono che al momento dell’arresto Antonis Stamboulos aveva uno zaino all’interno del quale c’era un’agenda in cui, sempre a loro dire, c’era la mappa e il piano per un attacco a Marinakis (presidente dell’Olympiakos e ricco imprenditore). Su questo fatto i media hanno creato il solito spauracchio del terrorismo. Consensualmente il PM e procuratore hanno deciso il suo arresto. Il compagno si è rifiutato di parlare e, come ha detto l’avvocato, probabilmente lo farà quando avrà a disposizione tutti i documenti che lo riguardano e, nello specifico, di cosa esattamente è accusato dal momento che nell’accusa in realtà non compaiono neanche le cose menzionate dai media. Ad Antonis Stamboulos è stata formalizzata l’accusa di partecipazione a un’organizzazione terroristica e, secondo i documenti del caso redatti dall’antiterrorismo, figurerebbe come un membro di Lotta Rivoluzionaria (in stretto rapporto con Nikos Maziotis). Domenica 5 ottobre, giorno della convalida dell’arresto, anarchici e antiautoritari si sono radunati fuori dal tribunale. Inoltre, alcuni compagni hanno fatto due volantinaggi, uno a Vyronas dove è stato arrestato, e uno a Marousi fuori dalla casa dei genitori per rompere il clima di terrorismo creato dalla polizia e dai media.

Di seguito pubblichiamo il primo comunicato del compagno, che dal 6 ottobre ha iniziato uno sciopero della fame e della sete per protestare contro il suo trasferimento nel carcere di Larissa. Il 11 ottobre Antonis Stamboulos ha sospeso lo sciopero.

Sono stato arrestato il 1° ottobre, incappucciato e portato in una stanza per gli interrogatori dell’unità antiterrorismo. Dalle 5 del pomeriggio all’1 di notte, un gruppo di sbirri incappucciati – mentre ero ammanettato dietro la schiena – hanno preso con la forza campioni del mio DNA, le mie impronte digitali e (hanno provato) a farmi delle foto, mentre venivo deriso, soffocato, picchiato e minacciato di essere sottoposto a elettroshock, con la speranza che ciò mi avrebbe fatto collaborare. All’una di note ho visto per la prima volta gli sbirri senza cappuccino, che mi hanno comunicato di essere accusato di terrorismo. Fino alle 5 e mezza della mattina sono rimasto in una cella di un metro per tre, sempre ammanettato dietro la schiena. Il giorno dopo hanno provato a fotografarmi di nuovo.

Da parte mia non ho toccato né cibo né acqua dal primo momento e ho chiesto di vedere un avvocato. Dopo 24 ore di detenzione mi hanno permesso di nominare un avvocato e ho deciso di incontrarla solo per pochi minuti prima di essere portato dal pubblico ministero.

Ho condiviso questo con i compagni combattenti come una piccola esperienza di lotta.

Se l’atteggiamento dello stato nei nostri confronti è o non è tenero o duro – questo dipende sempre dalle circostanze – non può mai piegarci se siamo consapevoli della responsabilità che deriva dalla nostra posizione di anarchici nei momenti di avversità.

I tempi duri della lotta sono quelli che temprano la nostra coscienza con forza. In queste circostanze ciascuno di noi innalza gli ideali della società che stiamo lottando per costruire. Molto sangue è stato versato nella lotta per l’emancipazione dalla società classista, e tuttavia solo gli stupidi possono credere che piegheremo la testa di fronte agli abusi della polizia. Continuo ad essere contrario a fornire i miei dati personali agli scagnozzi dello stato per due ragioni. Il primo motivo è per coerenza ai mie valori, in quanto credo che ogni anarchico rivoluzionario non dovrebbe mai cedere di un centimetro al nemico di classe. In secondo luogo perchè sono consapevole della gravità del caso in cui sono implicato, quindi voglio proteggere i miei compagni e amici da i corvi che continuano a tenermi in prigione. Mentre i Clouseau di turno non erano in grado di scoprire il mio nome, non ero per niente disposto a darglielo. Nel momento in cui sto scrivendo, due giorni dopo l’arresto, la polizia mi ha “finalmente” identificato.

È chiaro che gli ufficiali della squadra antiterrorismo e specialmente i loro superiori politici speravano di fare uno scoop col mio arresto, perciò la fuga di notizie alla stampa che riguardava l’agenda contenente gli “orari precisi degli spostamenti”, gli obiettivi e cazzi vari. Ricamano la loro storia per rendere credibile il loro scenario; uno scenario in cui, alla fine, risultano sempre vincitori.

La polizia e i pubblici ministeri non hanno alcun diritto a sapere cosa ho fatto, chi sono e perché ero nel luogo dove sono stato preso; non è realmente la loro preoccupazione, ma la mia. Pertanto, non ho bisogno di difendermi di fronte ai guardiani della legalità borghese, ma solo di fronte al movimento rivoluzionario, i compagni e le persone che hanno scelto di non vivere come schiavi.

Credo che il primo comunicato con il mondo esterno sia necessario, dal momento che non mi illudo di non essere incarcerato preventivamente.

Per adesso, sono ancora nelle mani dei servi del capitale, ma il mio cuore batte ancora per la rivoluzione.

La lotta continua.
Lunga vita alla rivoluzione.
Lunga vita all’Anarchia.

Antonis Stamboulos (detenuto nella questura di Atene, 4 ottobre 2014)

[Belgio] Si vede più chiaramente al buio

Chiudere le centrali nucleari, staccare la spina al capitalismo e allo Stato

Due cose importanti
Almeno due cose si possono dedurre dall’atto di sabotaggio di una turbina elettrica nella centrale nucleare di Doel nell’agosto 2014.* Due cose importanti, che tuttavia non abbiamo letto da nessuna parte.

Primo. Anche se il nucleare genera una contaminazione duratura e difficilmente risolvibile, è comunque possibile fermare la produzione energetica di queste centrali di morte. La lotta contro il nucleare non significa solo che quest’ultimo è all’origine di catastrofi e di radiazioni permanenti, dell’avvelenamento per lungo tempo dell’ambiente, ma anche che la stessa esistenza del nucleare ipoteca ogni prospettiva di libertà e di auto-organizzazione, perché il suo mantenimento e la sua gestione implicano necessariamente una struttura autoritaria e verticista, una struttura militarizzata.

Secondo. Che il sistema economico e statale vigente è del tutto dipendente dal flusso continuo di elettricità, pena la paralisi. Fabbriche, commissariati, ministeri, trasporti, amministrazioni: tutte le strutture fondamentali dell’oppressione statale e dello sfruttamento capitalista hanno in comune la loro dipendenza dall’energia. E quando le cose sono ferme, qualcos’altro può finalmente cominciare a muoversi.

Contro il nucleare
A partire dalla costruzione delle prime centrali, gli amministratori dell’esistente sfruttano la paura delle imprevedibili conseguenze di una catastrofe nucleare. Quelli che abitano attorno a queste centrali (e in Europa, in realtà sono tutti quanti) dipendono dai suoi costruttori per proteggersi contro lo scatenamento di una simile catastrofe tecnologica. In effetti, di fronte a ciò, di fronte alle radiazioni, di fronte alle «fughe», sono ancora gli stessi nucleocrati che hanno reso la catastrofe possibile a precipitarsi per «gestire» la situazione: con piani di evacuazione, presunte decontaminazioni, trattamento della centrale ferma… Questi specialisti e la loro struttura di comando fortemente gerarchizzata diventano così indispensabili. Inoltre, ogni centrale nucleare produce anche tonnellate di scorie radioattive che questi specialisti seppelliscono tranquillamente sotto terra sperando che tutto andrà bene. La loro radioattività è ormai dappertutto (a causa delle scorie, delle radiazioni, delle «piccole» fonti come i laboratori, gli ospedali, le fabbriche, le bombe d’uranio impoverito…), causando leucemie e cancri, modificando le strutture genetiche delle piante e degli esseri viventi, contaminando il pianeta in modo irreversibile.

Domandarsi perché esiste il nucleare, è comprendere le ragioni per opporvisi fermamente. Le centrali nucleari producono l’energia necessaria alle tecnologie del capitalismo. Le centrali producono l’energia che determina le strategie geo-politiche (come fanno anche il petrolio e il gas), modellando così la concorrenza e la collaborazione fra Stati. Producono la dipendenza delle persone dai loro oppressori. Esse producono la sottomissione alle gerarchie che gestiscono e mantengono questo mondo. Producono la pace sociale.

Il nucleare deve quindi essere fermato, nelle centrali e nella ricerca, nelle sue applicazioni militari e nelle sue applicazioni civili, è un passo necessario sul cammino verso la libertà.

Paura
Dopo il sabotaggio della centrale di Doel, i politici hanno parecchio evocato la minaccia di un black-out, di una panne di elettricità generalizzata. A sentire le loro parole, si potrebbe pensare d’essere all’alba di un’apocalisse da incubo. C’è un profluvio di appelli ad un «consumo responsabile», ma anche a preservare la calma e l’ordine. Per far fronte ad una potenziale carestia, lo Stato ha lanciato un piano alternativo che consiste nel tagliare l’elettricità alle persone piuttosto che ad uffici, fabbriche, commissariati, ministeri. L’economia e la sicurezza innanzitutto, com’è ovvio.

Se i politici parlano di black-out, cercano magari di intimorire la popolazione al fine di ottenerne la sottomissione. Evocare una penuria elettrica significa effettuare un lavoro di preparazione mentale per la costruzione, poniamo, di una nuova centrale nucleare. Ma non viene mai posta la questione del perché tutta questa produzione d’energia sia necessaria. Eppure, la moderna voracità del capitale si potrebbe forse misurare attraverso il suo consumo energetico. Per dare un solo esempio: portare i ricchi, gli eurocrati e i manager in 1h20 con un Thalys da Bruxelles fino a Parigi necessita di una quantità d’energia elettrica equivalente al consumo annuo medio di cinque abitazioni di Bruxelles!

Allora, vincere la paura che il potere cerca di distillare in relazione ad un eventuale black-out non significa voler cortocircuitare gli ospedali e gli ospizi come vorrebbe farci credere lo Stato. Lo Stato designa ogni critica, ogni azione di sabotaggio contro la dipendenza elettrica, come “terrorismo”, mentre è esso stesso a seminare paura, a brandire lo spettro del terrore che costituirà un bel taglio nella normalità, a bombardare e saccheggiare intere regioni per assicurarsi l’accesso al petrolio, al gas, alle materie prime.

Dobbiamo smascherare le menzogne dello Stato, il quale sostiene che siamo tutti nella stessa barca e che bisogna perciò fare tutti degli sforzi per occuparsene. Ma le cose non stanno così. Ci troviamo sulla sua barca nostro malgrado, o in ogni caso senza averlo mai veramente scelto. Incatenati come schiavi delle galere di un tempo pur di far funzionare la macchina. Alienati dalla vera vita, dato che nascendo e morendo nel guscio della barca, nel guscio del lavoro, dell’obbedienza, del consumo, i nostri occhi non hanno mai potuto scrutare l’orizzonte o il cielo. Allora, se il potere dice che è “terrorista” voler far inabissare la barca, è proprio perché vuole conservare il suo potere sugli schiavi incatenati. Allora, sta a te scegliere fra restare incatenato tutta una vita o liberarti rischiando perfino di nuotare da solo; a te scegliere tra la sottomissione e la rivolta, tra l’obbedienza e la dignità.

Sabotaggio e paralisi dell’economia
Che cos’è il capitalismo? La questione è complessa e può essere affrontata in mille maniere diverse, di cui distingueremo qui tre aspetti fondamentali.

Innanzitutto, c’è il modo capitalista di produzione, la produzione di merci. La produzione viene realizzata attraverso strutture (la fabbrica, il laboratorio, le macchine…) e manodopera (operai, impiegati, salariati…). Il capitalista ottiene profitto investendo nelle strutture e sfruttando la manodopera (ovvero, retribuendola meno di quanto produce realmente in termini di valore capitalista). Qui la cosa importante è che la produzione sia perciò dipendente dall’obbedienza della manodopera, perché se quest’ultima non vuole lavorare, la macchina non gira; e che questa produzione sia dipendente anche dalle strutture, perché una fabbrica dinamitata non può più produrre niente.

E poi, c’è un modo capitalista di scambio, ovvero il consumo, il commercio, la circolazione delle merci. Per questo, il capitale deve generare dei mercati per spacciare i prodotti, quindi creare dei bisogni; deve far circolare il denaro attraverso le banche, le borse, gli investimenti, perché un euro investito qui non genera lo stesso rendimento di un euro investito là; e soprattutto, ciò che qui ci interessa più in particolare, necessita di infrastrutture per realizzare questa circolazione. Ferrovie e porti per inviare le merci, reti di comunicazione per organizzare lo scambio e la circolazione, reti elettriche per far girare tutto questo. Il capitalismo è quindi dipendente da flussi continui, sia materiali (merci, manodopera, materie prime, energia) che immateriali (informazioni, dati, risultati della ricerca…).

Infine, c’è la riproduzione del rapporto sociale capitalista, ed è forse il centro di tutta la questione. I rapporti sociali determinano il ruolo ed il comportamento di ciascuno in questa società: del ricco come del povero, del capitalista come del salariato, del poliziotto come del prigioniero. Ma questi rapporti non sono «ideologici», perché si realizzano in uno spazio concreto. Il povero ha il suo posto in una gabbia da polli, il ricco nella sua villa. Il carcere, con le sue celle, le mura e il filo spinato, rinchiude gli individui e crea così i ruoli di prigioniero e di guardiano. Questa riproduzione del rapporto sociale coincide oggi quasi interamente con la continuità della normalità; in altre parole, finché il tran-tran quotidiano continua ogni giorno ad avanzare nello stesso modo, il potere non deve temere che si mettano in discussione i ruoli che ci impone. E questo tran-tran quotidiano può essere sabotato. Può essere cortocircuitato.

Se l’insieme del controllo, dello sfruttamento, dell’oppressione dipendono notevolmente dall’energia, è logico che tutte le piccole infrastrutture ripartite attraverso il territorio saltino agli occhi dei ribelli: centraline elettriche, cavi sotterranei, trasformatori, cavi di fibre ottiche, relé di telefoni portatili… Queste strutture sono così numerose e disseminate che il potere non potrà mai proteggerle tutte efficacemente dai gesti di rivolta, dai sabotaggi diffusi e ripetuti.

Se la pratica del sabotaggio non può trasformare da sola il rapporto sociale capitalista e autoritario, è comunque certo che, finché la macchina continuerà a girare, non si può sperare nessuna messa in discussione dell’esistente. L’onnipresenza del dominio esige una prima rottura nel corso normale delle cose, perché è unicamente grazie a tale rottura che possiamo sperare di avere un momento nostro, un momento per riflettere dove ci troviamo e per immaginare un altro mondo. È strano, ma in qualche modo c’è come l’intuizione che si vedrà più chiaramente al buio…

Fonte: Hors Service, n. 46, ottobre 2014, via Finimondo

* All’inizio di agosto di quest’anno il reattore della centrale di Doel4 si è fermato. A causarne l’arresto è stato un sabotaggio che ha interessato la turbina a vapore nella parte non-nucleare della centrale. 65000 litri d’olio della turbina sono defluiti verso un deposito sotterraneo destinato a recuperare l’olio in caso d’incendio. Per la mancanza di lubrificante la turbina si è surriscaldata e si è automaticamente fermata. Il blocco di questa centrale rischia di provocare nell’imminente inverno un black-out in Belgio e nei paesi limitrofi.

Bologna: Presidio solidale per i fatti di Piazza Verdi del 2007

Gli/le indomabili hanno sempre combattuto la normalizzazione.

La normalizzazione ha molti aspetti, alcuni impliciti- come la televisione, gli spot pubblicitari, i ‘mi piace’, i modelli culturali- ed altri espliciti, taluni addirittura estremamente fisici: il carcere, gli ospedali psichiatrici, i riformatori… In queste strutture i ‘deviati’ vengono rinchiusi e nascosti all’occhio perbenista, imbottiti di psicofarmaci per essere riportati alla normalità.

I manicomi non esistono più, ma essi sopravvivono in strutture gemelle: gli ospedali psichiatrici. E hanno dispositivi loro diretta diramazione: i TSO.

I TSO (Trattamenti Sanitari Obbligatori) sono programmi di sanità mentale atti a far rimanere il manicomio nelle nostre vite. Loro obiettivo è normalizzare i pazzi, i deviati, i non allineati, le ribelli, le indomabili. Attraverso le pillole della felicità, normalizzare significa creare zombi, burattini, marionette e soldati. Nonchè creare profitto dalla vendita dei medicinali e dal mantenimento delle strutture sanitarie.

La normalizzazione, quindi, genera controllo e denaro. E’ figlia del capitalismo e della forma più completa e sottile del controllo sociale, quella che divide in sani e in malati, da curare e normalizzare. Ecco perchè gli/le indomabili la hanno sempre combattuta.

Nel 2007 a Bologna alcuni/e indomabili si sono opposti/e alla normalizzazione cercando di impedire un TSO. In seguito sono stat* arrestat* e incarcerat*.

Oggi, 7 anni dopo, stanno ancora fronteggiando il processo che non ha raggiunto nemmeno il primo grado di giudizio.

Le richieste di condanna del pm, emesse nel luglio scorso, sono altissime: vanno dai sei anni e mezzo ai sette anni e mezzo di reclusione.

Non ci stupiamo che il potere cerchi sempre di reprimere gli animi dei/lle ribelli e in questo caso, infatti, alle normali accuse di resistenza, violenza e oltraggio a pubblico ufficiale è stata aggiunta una tipica montatura di stato: i/le compagn* sono stati/e accusat* di rapina di un paio di manette.

Quello che inizialmente sembrava un mero desiderio di vendetta contro i/le compagn*, ora ha assunto le fattezze di quello che potrebbe diventare un precedente atto a legittimare una repressione assurda e gravosa contro coloro che non vogliono normalizzarsi.

Alla loro normalità preferiamo la follia!

Ecco perchè venerdì 17 ottobre, a Bologna al Piazzale Maggiore alle 16.00, saremo in piazza, a fianco dei/lle nostr* compagn* colpit* dalla repressione di stato.

Madda, Sirio, Juan, Fede, Fako liber*!

VENERDI’ 17 OTTOBRE 014
Presidio Solidale – ore 16.00 Piazza Maggiore, Bologna

Il 17 Ottobre si terrà l’ennesima udienza, che potrebbe essere quella definitiva, per quanto riguarda il primo grado di giudizio, sui fatti di Piazza Verdi 2007.

Questo processo vede coinvolti/e quattro compagni e una compagna. Il pm Simone Purgato ha chiesto per i 5, che all’epoca erano stat* arrestat* per aver ostacolato un T.S.O., pene elevate che vanno dai 6 anni e mezzo ai 7 anni e mezzo di reclusione.

Anarchiche e Anarchici.

ALLA LORO NORMALITA’ PREFERIAMO LA FOLLIA.
I VERI PAZZI STANNO FUORI!

Massima solidarietà e complicità
con Sirio, Madda, Fede, Juan e Fako!

Nessuna condanna
Nessuna sentenza
Nessun tribunale
NO T.S.O.

Europa: Operazione di polizia su vasta scala contro i migranti

ATTENZIONE!

Un’operazione poliziesca chiamata “mos maiorum” è stata preparata dall’Unione Europea e avrà corso dal lunedí 13 alla domenica 26 ottobre 2014. Durante due settimane, 18.000 sbirri faranno la caccia alle persone senza documenti. Vogliono scoprire le vie e le strade delle migrazioni e arrestare il maggiore numero di persone possibile.

Avvertite e parlatene a tutt* i senza documenti! I controlli si faranno nei treni, nelle stazioni, negli aeroporti, sulle autostrade e sulle frontiere interne all’unione europea.

Contro la fortezza Europa, nessun* è illegale!